7 Note in Nero

7 Note in Nero
(Lucio Fulci, 1977)

Interpreti: Jennifer O’Neill, Gabriele Ferzetti, Marc Porel Scritto da: Roberto Gianviti, Dardano Sacchetti Musiche di: Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera

Lucio Fulci e il film che non ti aspetti …

La splendida Virginia (Jennifer O’Neill) è una bella donna inglese sposata con un ricco uomo d’affari italiano. È felice Virginia? Forse …in realtà la donna è turbata perché perseguitata da inquietanti visioni di un violento omicidio..immagini, luoghi ed eventi che non riesce a decifrare. Dopo aver accompagnato il marito all’aeroporto, ha un’altra serie di visioni mentre torna a casa. Vede una stanza con un grosso buco nel muro, una donna anziana che è stata uccisa, un paio di gambe zoppicanti e poche altre immagini, nessuna delle quali ha senso per lei. Per distrarsi da questi inspiegabili eventi decide di fare una sorpresa al marito andando nella sua casa estiva per sistemarla e ridecorarla. La casa è chiusa da tempo ed una volta giunta sul posto si rende conto che una stanza è la stessa della sua visione, dove qualcosa era stato sepolto nel muro…

Considerazioni:

Dicevamo, Lucio Fulci e il film che non ti aspetti, specialmente per chi ha conosciuto il regista con i suoi film horror più estremi, ma direi anche il cinema di genere e giallo degli anni 70 spesso intriso di violenza, anche a costo di sacrificare trama e sceneggiatura poiché lo scopo era quello di colpire lo spettatore anche e sopratutto attraverso effettacci sempre più sanguinolenti. Certo, questo non nella totalità dei casi. I primi film di Argento ovvero gli apri pista della new age thriller di quegli anni, erano un insieme, un felice connubio di tanti elementi. Lo stesso Fulci si era distinto con dei thriller non banali, ben diretti, interpretati, scritti senza farsi mancare già alcune sequenze forti. Dinanzi a tutto questo Con “7 note in nero” siamo davanti ad un’ opera atipica, elegante e magnetica come poche altre in quel periodo. Un thriller dignitosissimo capace di creare un’atmosfera sempre più tesa, claustrofobica ed avvincente fino alla magistrale ultima mezz’ora del film ed alla risoluzione del mistero. Un lavoro di fino, attento e minuzioso quello di Lucio Fulci che insieme alla collaborazione di Roberto Gianviti, Dardano Sacchetti in fase di sceneggiatura e dei compositori ed arrangiatori Franco Bixio, Fabio Frizzi, Vince Tempera in fase musicale, ci regala uno dei migliori thriller/ giallo della storia del nostro cinema e non solo.

Curiosità

Nell’intervista a Camilla Fulci contenuta tra gli speciali del Blu Ray di “Fulci for fake” scopriamo che la ragazza in sella al cavallo grigio nella parte destra della foto rivelatrice (nel film al minuto 50.16, non mettiamo la foto per evitare spoiler) è la stessa figlia di Lucio.

La sceneggiatura di Sette Note in Nero, a detta di Dardano Sacchetti, fu molto travagliata e si dilungò per lungo periodo tra incontri ripetuti di Fulci e Sacchetti con questo o quel produttore.
Alla base del film stava un romanzo scritto da Vieri Razzini: Terapia Mortale.

Stralcio di un’intervista realizzata a Dardano Sacchetti.

Viene spesso trasmesso in tv il giallo di Fulci Sette Note in Nero (titolo di lavorazione “Terapia mortale”), la sceneggiatura è accreditata a Te, Gianviti e Fulci stesso.
Puoi svelarci alcuni retroscena del regista? Il tuo primo lavoro realizzato con Fulci come lo ricordi? Quali sono gli apporti del regista in fase di sceneggiatura?

Era il 1975.

Avevo scritto Roma a Mano Armata che ebbe un successo clamoroso ed era veramente ben scritto, tanto che Lenzi, per riconoscermelo, non mise la sua firma come fanno tutti i registi.
Il film fu visto dall’avvocato Todini, che avevo conosciuto quando avevo il contratto con Dino (De Laurentiis, n.d.r.).
Loro stavano cercando di mettere in piedi un giallo con Fulci tratto da un romanzo di Vieri Razzini: “Terapia mortale”.
Erano fermi da tre o quattro mesi. Non avevano prodotto neanche una riga scritta. Ogni settimana facevano una riunione e parlavano rassicurando i produttori.
Fui imposto come esperto di “argentismo”, ma Fulci mi accolse con molto sospetto, diceva che ero la spia dei produttori, ma soprattutto non mi capiva.
Lui, allora, amava la “vecchia”, ovvero Agatha Christie, e insieme a Gianviti si spacciavano per grandi costruttori di trame.
Gianviti, col quale ci fu un’istintiva simpatia, mi consigliò di stare zitto e aspettare che Fulci cavasse le castagne dal fuoco.
Roberto era una persona adorabile ma semplice, aveva scelto per se il ruolo di sceneggiatore gregario, ovvero portatore d’acqua del regista e veniva ricompensato da Fulci con una certa fedeltà perche se lo portava sempre dietro.
Si facevano riunioni tutte le mattine, dalle dieci a mezzogiorno, poi il pomeriggio dalle quattro alle cinque e mezzo.
(…)
Durante queste lunghe ore, Fulci fumava la pipa, Gianviti fingeva di prendere appunti io smaniavo.
(…)
Il guaio era che il romanzo di Razzini non offriva quelle cose che voleva Fulci e che volevano anche i produttori.
Dopo un paio di mesi, forse anche tre passati a grattarci, quando i produttori stavano per licenziarci, Fulci ebbe la genialata: andò dai produttori e disse loro che il romanzo faceva schifo, ma che lui aveva una idea grandiosa.
Quelli abboccarono.
Gianviti cominciò a snocciolare una serie di film famosi da copiare (sic! si faceva così spesso).
Fulci, che fingeva di essere cinico, ma in realtà era molto sensibile al sovrannaturale, aveva un teorema: che non si può andare contro il destino, che se il destino dice che ti deve accadere una cosa quella cosa accadrà inesorabilmente.
Io, a mò di scommessa, gli dissi che si poteva aggirare il destino.
Lui rispose che era impossibie.
Io mi presi mezza giornata, e il giorno dopo gli raccontai il meccanismo del muro e dell’orologio che suona.
Gli piacque subito, Lucio capiva al volo quando una cosa funzionava.
Scrissi un trattamentino (il “trattamento” è qualcosa che sta a metà fra soggetto e sceneggiatura, Nd Legnani).
In meno di cinque giorni, avemmo l’approvazione e scrivemmo la sceneggiatura, ma una volta consegnata ai produttori, per motivi che non ho mai capito, dissero di no.
Fulci la prese, la portò altrove e trovò una nuova produzione in meno di un mese.
(…)
Se guardate le sceneggiature degli anni 50 vedrete che sono firmate da cinque, sei, sette anche otto persone.
Si chiudevano in un albergo.
Nessuno scriveva perchè non avevano dimistichezza con la penna, ma si facevano grandi racconti.
Si prendevano appunti e le scenaggiature erano (a volte anche adesso) più che altro degli appunti con una lista dialoghi.

Fonte: mia intervista allo sceneggiatore.

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