Riposa Bene Tchéky Karyo
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Riposa Bene Tchéky Karyo

Con un misto di tristezza e riverenza, salutiamo l’attore franco-turco Tchéky Karyo, spentosi il 31 ottobre 2025 all’età di 72 anni dopo una battaglia contro il cancro.
Ho intenzione di rendergli omaggio con un post lungo, in tipico stile “lamento – ma non troppo serioso”, perché se lo merita davvero.

Una carriera che non passava inosservata

Karyo nasce a Istanbul nel 1953 con il nome di Baruh Djaki Karyo, da padre turco sefardita e madre greca. Trasferitosi da bambino a Parigi, frequenta il teatro, si forma alla compagnia del Théâtre Cyrano e al Théâtre National de Strasbourg, facendo del palcoscenico la sua prima casa.
Il suo debutto al cinema risale agli inizi degli anni ’80: il film La Balance (1982) gli vale una candidatura al César come miglior attore rivelazione.
Col tempo diventa quel volto magnetico che riconosci subito: il “mentore spietato” in La Femme Nikita (1990) di Luc Besson, l’ambiguo ministro russo in GoldenEye (1995), un detective tormentato nella serie The Missing (2014–2016).
Ha attraversato generi, lingue, epoche: cinema d’autore francese, blockbuster internazionali, serie TV britanniche. Una versatilità rara, un carisma che non ammetteva mezze misure.

Perché ci mancherà

Non perché fosse il protagonista assoluto in ogni film (spesso non lo era). Ma perché ogni volta che era sullo schermo lo vedevi e pensavi: “Ecco, lui è il tipo che fa la differenza”. Lo sguardo intenso, la voce decisa, ma capace anche di fragilità. Aggressivo e vulnerabile al tempo stesso.
E poi: riusciva a dare “peso” a ruoli che in mani meno capaci sarebbero stati stereotipi. Il mentore cinico, il cattivo elegante, l’investigatore dai segreti personali.
Avete presente quel tipo che appena appare lo schermo si accende? Ecco.

«He was always a great bad guy.»
Esatto.

È davvero finita? Non proprio

Ok, non sarà più lì a girare nuove scene, ma lascerà un’eredità: film, serie, ricordi. E forse quel che più conta — per noi che amiamo il cinema e le performance “con sostanza” — è la prova che un interprete può costruire una carriera longeva senza trasformarsi in una caricatura di se stesso.
Le generazioni future potranno riscoprirlo, rivederlo, capire quanto fosse capace di modulare presenza e sfumature.

Questo è il momento di dire…

Grazie, Tchéky. Non per i record o per un premio che magari non hai vinto (o magari sì, chi lo sa), ma per aver portato sullo schermo – senza compromessi facili – presenza, identità e quell’equilibrio inquietante tra forza e fragilità.
E sì: è presto. 72 anni sono troppo pochi, soprattutto per uno che aveva ancora stile, dignità, voglia di proseguire. Ma è il corso delle cose. Non possiamo cambiare la parte “morte” del copione, ma possiamo onorare la performance.

Punto sarcastico-morale

Che ci insegna questa cosa? Che anche il “carismatico sullo schermo” è umano. Che anche chi sembra eterno ha la sua scadenza. Quindi, per favore: se qualcuno vi dice “farò quel film/quel fumetto/quel progetto… un giorno”, beh — fatelo adesso. Perché “un giorno” potrebbe essere senza di te. E non vorrei che qualcuno, come me oggi, stesse qui a leggere “RIP” e pensasse «Okay, adesso mi ci vuole un bel film di lui per tamponare».

Riposa bene, Tchéky Karyo. Ci vediamo sul loop di “La Femme Nikita” o “GoldenEye”, o forse in qualche serata in cui rivedremo “The Missing” e diremo: «Sì, lui era il motivo per cui valeva la pena guardare.»

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