Aniara
Aniara è un film di fantascienza cupo e profondamente disturbante
Che utilizza lo spazio non come luogo di avventura, ma come specchio dell’annientamento umano. Diretto da Pella Kågerman e Hugo Lilja, il film si basa sul poema epico di Harry Martinson e ne conserva la natura filosofica e disperata. L’astronave che trasporta coloni verso Marte diventa rapidamente un microcosmo della nostra civiltà, fragile e illusa di poter controllare l’ignoto attraverso la tecnologia. Fin dalle prime sequenze è chiaro che Aniara non vuole intrattenere, ma logorare lentamente lo spettatore, trascinandolo in una spirale di impotenza e silenzio cosmico.

Uno degli elementi più inquietanti del film
È la sua gestione del tempo. L’errore di rotta che condanna l’astronave non produce panico immediato, ma un’attesa estenuante, fatta di giorni che diventano anni e poi decenni. La regia sceglie una messa in scena fredda e ripetitiva, in cui i corridoi della nave sembrano consumarsi insieme ai suoi abitanti. La claustrofobia non nasce dalla mancanza di spazio fisico, ma dall’assenza di futuro, rendendo ogni gesto quotidiano una pantomima priva di senso.
Il cuore emotivo del film
Risiede nella Mima, un’intelligenza artificiale progettata per offrire conforto psicologico ai passeggeri. Attraverso le sue visioni immersive, Aniara esplora il bisogno umano di bellezza e memoria, contrapponendo immagini di una Terra ormai irraggiungibile alla desolazione infinita del cosmo. Quando anche la Mima inizia a incrinarsi, il film suggerisce che non esiste tecnologia capace di sostenere indefinitamente il peso della disperazione collettiva. In questo senso, Aniara è un horror metafisico, in cui la perdita della speranza è più spaventosa di qualsiasi creatura aliena.

Il film affronta anche il tema della fede
E della costruzione di nuovi miti. Con il passare del tempo, sulla nave emergono rituali, culti improvvisati e tentativi di dare un senso trascendente alla deriva. Questi elementi non vengono mai giudicati, ma osservati con uno sguardo clinico e crudele, come inevitabili reazioni alla consapevolezza della fine. Aniara mostra come l’essere umano, privato di una meta, sia disposto ad aggrapparsi a qualsiasi narrazione pur di non affrontare il vuoto.
Spoiler:
Quando diventa chiaro che l’Aniara non tornerà mai indietro e che la nave è destinata a vagare per milioni di anni, il film compie la sua scelta più radicale. I personaggi invecchiano, muoiono, si riproducono, mentre la nave continua a scivolare nel nulla. L’epilogo, ambientato in un futuro remoto in cui l’Aniara passa accanto a un sistema stellare ormai irraggiungibile, è di una crudeltà assoluta. Non c’è catarsi, né redenzione, solo la conferma che l’universo è indifferente e che l’umanità è stata un evento temporaneo, quasi accidentale.

Aniara è un film che lascia il segno
Proprio perché rifiuta qualsiasi forma di consolazione. È un’opera che dialoga con il miglior cinema sci-fi esistenziale, ma lo spinge verso un territorio apertamente horror, in cui la paura nasce dalla certezza della fine e non dall’ignoto. Non è una visione facile né rassicurante, ma è una di quelle esperienze che continuano a risuonare molto dopo i titoli di coda. Per una rubrica dedicata allo sci-fi horror, Aniara rappresenta una scelta potente, coerente e profondamente disturbante.
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