Beyond the Black Rainbow

Beyond the Black Rainbow

Beyond the Black Rainbow (2010), esordio alla regia di Panos Cosmatos

È un’esperienza cinematografica che sfida i confini della narrazione convenzionale per immergere lo spettatore in un viaggio sensoriale oscuro, astratto e profondamente inquietante. Ambientato nel 1983 all’interno dell’enigmatico Arboria Institute, il film si presenta fin da subito come un’opera fuori dal tempo, intrisa di estetica retrofuturista, suggestioni new age distorte e atmosfere alla Tarkovskij ma filtrate attraverso una lente di puro incubo psichedelico. La trama è minimale, quasi un pretesto: una giovane ragazza dotata di poteri psichici, Elena, è prigioniera in una struttura claustrofobica sotto il controllo di uno scienziato freddo e disturbato, Barry Nyle.

Cosmatos costruisce il suo film

Attraverso immagini ipnotiche, luci al neon pulsanti e un ritmo lento, spesso estenuante, ma sempre deliberato. L’influenza di autori come Cronenberg e Kubrick è evidente, ma Beyond the Black Rainbow non si limita a una semplice imitazione: è piuttosto un omaggio deforme e personale a un cinema che si dissolve nella percezione. Il sonoro, firmato da Sinoia Caves, è parte fondamentale dell’esperienza: sintetizzatori analogici e droni musicali contribuiscono a creare una tensione costante, come se l’intero film fosse il sogno disturbato di un’intelligenza artificiale in crisi esistenziale. L’uso dello spazio e della luce è magistrale: ogni inquadratura è calcolata, ogni riflesso sembra parlarti da un altro piano di realtà.

La componente horror non è mai esplosiva

Ma costantemente insinuante. Il terrore nasce dal controllo, dalla reclusione, dall’alienazione. I dialoghi sono pochi e spesso stranianti, volutamente piatti o robotici, il che contribuisce ad aumentare il senso di disconnessione emotiva. Barry Nyle, l’antagonista, è una figura tragica e repellente: il suo desiderio di ordine e purezza è maschera di una psiche profondamente corrotta da esperimenti falliti su se stesso e sull’umanità. Elena, invece, è quasi muta per tutto il film, incarnando la vittima sacrificale di un sistema che prometteva evoluzione spirituale ma ha generato solo mostri.

Spoiler:

In un flashback ambientato negli anni ’60, scopriamo l’origine del male: Barry Nyle era un soggetto di esperimenti psico-chimici nel cuore dell’Arboria Institute. Dopo essere stato esposto a una sostanza sconosciuta, emerge “trasformato”, privato dell’empatia, della sanità mentale e del legame con la realtà. L’uomo che vediamo nel presente è solo una maschera – letteralmente e figurativamente – di ciò che era. In una delle sequenze più disturbanti, Barry si spoglia della sua identità, dei suoi abiti, e della sua umanità, trasformandosi in una figura mostruosa, calva e lucida, che vaga in cerca di Elena. La sua disfatta finale non è una liberazione, ma un’ulteriore discesa nel vuoto.

Più che un film

Beyond the Black Rainbow è una meditazione sull’illusione del progresso spirituale e scientifico. Cosmatos ci mostra un’utopia fallita, dove la ricerca dell’illuminazione ha portato solo oscurità. Il film è pieno di simbolismi: il triangolo che domina la struttura, i colori che scandiscono le emozioni e i poteri psichici come metafora di repressione e liberazione. Non tutto è spiegato, né intende esserlo: l’opera preferisce lasciarti in uno stato di sospensione, come se stessi emergendo da un sogno in cui qualcosa ti ha turbato, ma non riesci a dire esattamente cosa.

Non è un film per tutti

E non vuole esserlo. Chi cerca una narrazione lineare o un climax esplosivo resterà probabilmente frustrato. Ma per chi è disposto ad abbandonarsi all’atmosfera, lasciando che siano le immagini e i suoni a raccontare, Beyond the Black Rainbow offre un’esperienza unica: disturbante, ipnotica e profondamente originale. Cosmatos dimostra una visione autoriale rara, e anche se imperfetta, la sua opera resta una delle più peculiari e affascinanti incursioni nel panorama del cinema sci-fi horror contemporaneo.


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