TRAMA di FIRE CITY – END OF DAYS
Il demone Vine vive segretamente sulla Terra assumendo sembianze umane. La sua decisione di salvare una ragazza innocente al costo delle vite dei suoi compagni turba l’equilibrio tra il mondo dei demoni e quello degli umani.
RECENSIONE
“Fire City: La fine dei giorni”, un film diretto dall’effettista Tom Woodruff Jr. (Aliens, Terminator, La Cosa), è una miscela interessante di dark fantasy, horror e noir che non si vedeva in giro dai tempi di quello strano e curioso ibrido che fu “Cast a Deadly Spell”. Distribuito nel 2015, questo film (inizialmente concepito come una web series) rappresenta un tentativo interessante di esplorare il mondo soprannaturale attraverso una lente urbana e decadente, popolata da demoni che convivono segretamente tra gli esseri umani. Il sapore particolare dell’opera ci ricorda in alcuni momenti “Cabal” o “Faust”. La pellicola si distingue per la sua estetica cupa e l’atmosfera sinistra, ma soffre di alcuni limiti narrativi che ne appesantiscono l’impatto complessivo.
La storia ruota attorno ad Atum Vine, un demone tormentato che vive tra gli umani in una città corrotta e in declino, dove le creature infernali coesistono in incognito con la popolazione. Vine lavora come supervisore di demoni in uno stabile fatiscente, ma spesso assume il ruolo di “detective particolare” per risolvere problemi soprannaturali. Tuttavia, la sua vita viene sconvolta quando si rende conto che l’equilibrio tra umani e demoni è minacciato da un cambiamento misterioso: gli umani infatti hanno smesso improvvisamente di provare la disperazione che cingeva le loro vite, emozione che placava la fame insaziabile dei demoni. Questa anomalia finisce per destabilizzare l’intero ecosistema demoniaco rendendo le creature affamate e irragionevoli, spingendo Vine a cercare rapidamente delle risposte, un percorso che si snoderà tra conflitti, intrighi, visioni apocalittiche e che spingerà Vine a riflettere sul rapporto tra gli uomini e i demoni.
Sia “Fire City: La fine dei giorni” che “Cast a Deadly Spell” mescolano elementi soprannaturali con il genere poliziesco/noir, creando mondi in cui la magia e le creature paranormali coesistono con la quotidianità umana. Un crossover sempre atipico per il cinema ma ben noto ai lettori e ai videogiocatori. Tuttavia, “Fire City” si concentra su un’atmosfera decisamente più cupa e mentre “Cast a Deadly Spell” bilanciava il dark fantasy con un’ironia leggera e un tono quasi parodistico.
Il punto di forza principale di “Fire City: La fine dei giorni” è quindi il clima che Woodruff Jr. riesce a creare (grazie al suo lavoro come specialista in effetti visivi e trucco prostetico), porta la sua esperienza visionaria per generare un universo visivo oscuro e surreale. La rappresentazione dei demoni è intrigante e molti di essi sono resi con effetti speciali vecchia scuola piuttosto che gli inflazionati effetti digitali, questo conferisce al film una qualità artigianale che rimanda ai lavori horror degli anni ’80 e ’90.
Anche l’ambientazione urbana è ben curata: la città in cui si muovono i personaggi è degradata, sporca e pervasa da una sensazione di imminente catastrofe. Questo mood riflette lo stato emotivo dei demoni stessi, che vivono in un mondo in cui la disperazione umana è necessaria per la loro stessa sopravvivenza. Il design visivo, dunque, è uno dei punti più riusciti del film, contribuendo in modo efficace a immergere lo spettatore nell’ universo di Vine. E’ impossibile non pensare allo stabile come ad una sorta di “Midian” di Barkeriana memoria, specie quando i demoni, tutti realizzati con design diversi, si incontrano per risolvere il problema.
Peccato che il film vacilli nella struttura narrativa. La storia infatti tende a perdersi in una serie di sottotrame e colpi di scena non sempre ben orchestrati. La progressione narrativa è a tratti lenta e confusa, rendendo difficile mantenere il coinvolgimento emotivo dello spettatore. Inoltre, i personaggi, inclusi i demoni stessi, non ricevono uno sviluppo psicologico sufficientemente approfondito per far emergere la loro complessità. In particolare, Vine, il protagonista, manca di quel carisma o pathos necessario per rendere la sua lotta interiore davvero coinvolgente.
L’altro punto debole risiede nei dialoghi, che in diversi momenti risultano poco naturali (complice anche un doppiaggio televisivo carente) e talvolta eccessivamente didascalici. Questo appesantisce ulteriormente il film e non aiuta a dare alla storia il giusto spessore.
CONCLUSIONE
Se “Cast a Deadly Spell” offriva un’esperienza più leggera e giocosa, pur rimanendo all’interno del noir soprannaturale, con Il suo equilibrio tra suspense e umorismo, “Fire City: La fine dei giorni” cerca di approfondire temi davvero oscuri e decadenti, ma la narrazione frammentata e una scrittura non eccelsa lo tengono in un limbo di potenzialità.
Peccato, perchè è un film che si distingue per l’originalità della visione e la particolarità del suo make-up e l’estetica visiva di Woodruff Jr. è forte e coerente. Nonostante i difetti, può comunque risultare una visione affascinante per gli appassionati di un certo dark fantasy e specialmente per quelli in grado di apprezzare le atmosfere cupe e i mondi infernali rappresentati attraverso un approccio artigianale agli effetti speciali.
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