Hereditary – Le Radici del Male
Hereditary – Le radici del male – Un dolore che non si può nominare
Hereditary non è solo un film horror: è un’esperienza emotiva disturbante che ci accompagna nel cuore del trauma familiare. Esordio folgorante di Ari Aster, il film esplora la trasmissione ereditaria del dolore, della follia e del male come fosse un destino inevitabile. Non ci sono urla gratuite o mostri da armadio: l’orrore qui si annida nel sangue, nel lutto e nelle crepe di una famiglia sull’orlo della dissoluzione.
La tragedia di una madre e il culto dell’oscuro
Toni Collette offre una performance devastante nel ruolo di Annie, madre di due figli e artista specializzata in diorami. Dopo la morte della madre, eventi sempre più inspiegabili scuotono la quiete apparente della famiglia. La casa, le relazioni, persino i ricordi si deformano progressivamente, fino a rivelare un culto oscuro radicato nella stirpe stessa di Annie. Il titolo Hereditary non mente: il male si tramanda, silenzioso e letale.
La messa in scena del trauma
Ari Aster costruisce il film come una tragedia greca con struttura da camera chiusa. Ogni inquadratura è studiata al millimetro, ogni dettaglio visivo racconta qualcosa che sfugge alla narrazione verbale. Il dolore non è mai retorico: si fa carne, urlo, immobilità. Le miniature che Annie costruisce nella sua stanza diventano metafora dell’impossibilità di controllare la vita e la morte, il passato e il futuro.
Un horror esistenziale e sacrilego
Hereditary sfida i codici del genere: inquieta più con i silenzi che con gli shock visivi. Il senso di angoscia cresce lentamente, alimentato da un realismo psicologico spietato e da una messa in scena quasi sacrale. Il male non è esterno, ma intimo, familiare, impossibile da evitare. L’inquietudine nasce dalla sensazione che nulla accada per caso, che tutto sia stato deciso da una forza superiore e incomprensibile.
Il nuovo volto dell’orrore d’élite
Con Hereditary, Ari Aster ha inaugurato una nuova stagione dell’horror: quella dell’orrore come dramma emotivo e allegoria del trauma. Il film non cerca di spaventare con espedienti facili, ma colpisce profondamente lo spettatore, lasciandolo svuotato e turbato. È un’opera che si insinua sotto pelle e che, come il male che racconta, si eredita: difficile da dimenticare, impossibile da ignorare.
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