Il Principe delle Tenebre si è Spento ma l'Eco della sua Oscurità Vivrà per Sempre

Il Principe delle Tenebre si è Spento ma l’Eco della sua Oscurità Vivrà per Sempre

“Non ho mai avuto paura del buio. Sono il buio.”

Il mondo ha perso un’icona. Il 2025 ha portato via con sé una delle figure più iconiche e oscure della storia della musica e della cultura pop: Ozzy Osbourne, l’eterno Prince of Darkness. Un uomo, un mito, un’ombra lunga che ha attraversato decenni, generi e anime. Ozzy non era semplicemente un cantante: era un simbolo vivente del patto con il lato oscuro, una creatura nata per disturbare, scioccare e affascinare. E ora che non c’è più, il mondo appare un po’ più chiaro… e un po’ più vuoto.

Un cuore di tenebra nato a Birmingham

Il Principe delle Tenebre si è Spento ma l'Eco della sua Oscurità Vivrà per SempreJohn Michael “Ozzy” Osbourne nacque a Birmingham nel 1948, ma sembrava già provenire da un altro mondo. Non ci mise molto a farsi notare: nel 1969 fondò con Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward una band che avrebbe cambiato per sempre la musica: Black Sabbath. Il nome stesso era una dichiarazione d’intenti. Con sonorità lente, cupe e minacciose, testi che evocavano il diavolo, la morte, la follia e l’aldilà, i Black Sabbath posero le fondamenta dell’heavy metal e lo fusero con una sensibilità horror degna dei migliori film della Hammer.

Ozzy era il medium perfetto per questa liturgia dell’orrore: la sua voce lamentosa e posseduta sembrava provenire da una dimensione sospesa tra incubo e realtà. Album come Paranoid, Master of Reality e Sabbath Bloody Sabbath sono ancora oggi colonne sonore ideali per chi cerca l’essenza sonora del buio.

L’uomo che mordeva i pipistrelli

La leggenda si nutriva anche di carne viva, a volte letteralmente. Nel 1982, durante un concerto a Des Moines, Ozzy Osbourne morse la testa a un pipistrello lanciato sul palco. In quel momento, il confine tra palco e rituale si fece sottile: Ozzy diventò ufficialmente una creatura da incubo. Da lì in poi, ogni sua apparizione sembrava un episodio di un film horror splatter. Ma dietro la teatralità e l’eccesso c’era un artista che conosceva l’importanza del simbolo, del gesto, della trasgressione – e che aveva un talento soprannaturale per rimanere in equilibrio sull’orlo della follia.

Solista dell’inferno

Dopo la rottura con i Sabbath, Ozzy costruì una carriera solista che amplificò ulteriormente i suoi toni da apocalisse. Blizzard of Ozz (1980), Diary of a Madman (1981) e No More Tears (1991) sono solo alcuni dei dischi che mescolavano riff di chitarra feroci, urla tormentate e visioni gotiche da brivido. I suoi videoclip sembravano cortometraggi horror: croci rovesciate, stanze rosse, possessioni demoniache, simbologie sataniche e creature infernali facevano parte del suo linguaggio visivo.

Ozzy era diventato una sorta di mostro sacro, un vampiro del rock, un personaggio che avrebbe potuto benissimo comparire in un film di American Horror Story, accanto a fantasmi e serial killer.

L’orrore dentro di sé

La vera oscurità, però, Ozzy l’ha combattuta dentro di sé. Dipendenze, crolli nervosi, crisi familiari: la sua vita è stata un continuo confronto con i propri demoni. La sua autobiografia I Am Ozzy (2010) è un viaggio allucinato e spaventoso, più vicino a Trainspotting che a una classica biografia rock. Eppure, nonostante tutto, Ozzy è sopravvissuto a tutto ciò che avrebbe dovuto distruggerlo. Anzi, sembrava immortale, come un Nosferatu contemporaneo, con gli occhi spiritati e la voce da ultratomba.

Dai palchi ai reality, senza perdere la dannazione

Nel 2002, Ozzy ha portato la sua follia direttamente nelle case degli spettatori con il reality The Osbournes, dove mostrava il quotidiano della sua famiglia bizzarra e dannata. Anche lì, con le sue urla biascicate, i pipistrelli finti e il suo continuo oscillare tra lucidità e delirio, Ozzy sembrava un personaggio uscito da una sitcom horror. Un Beetlejuice reale, una caricatura gotica in carne ed ossa.

E ora? Il buio cala. Ma la leggenda continua.

Ozzy Osbourne ci lascia all’età di 76 anni, dopo una lunga battaglia con malattie degenerative, ma anche – e forse soprattutto – con la fragilità del corpo umano. Nonostante tutto, fino all’ultimo aveva parlato di voler tornare sul palco, perché il palco era il suo altare sacro.

Con la sua scomparsa, il rock perde il suo volto più spaventoso, il suo boogeyman. Ma i fan dell’orrore sanno che certi spiriti non muoiono mai: si nascondono nei riff lenti e taglienti, nelle urla che arrivano dal fondo della notte, nei film che parlano di possessioni, nei sogni inquieti dove senti una voce sussurrare:

“All aboard… ha ha ha ha!”

Ozzy Osbourne non è morto. È tornato a casa. Tra le tenebre.

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