Jenny Saville Quando la Carne Diventa Orrore Viscerale

Nel panorama dell’arte contemporanea, pochi artisti riescono a scuotere le fondamenta della nostra percezione del corpo umano come Jenny Saville. Con le sue tele monumentali che ritraggono figure femminili in tutta la loro cruda, imperfetta e spesso debordante fisicità, Saville non dipinge semplicemente dei nudi; evoca un senso di disagio viscerale che sconfina in una forma di “body horror” psicologico. Sebbene non popoli le sue opere di mostri o creature soprannaturali, l’orrore che emana dai suoi dipinti è profondamente radicato nella nostra relazione con la carne, la vulnerabilità e la sovversione degli ideali estetici dominanti.

Saville, nata nel 1970, si distingue per un approccio pittorico potente e materico. Le sue pennellate cariche di colore modellano corpi massicci, segnati da pieghe, smagliature, cicatrici e l’inevitabile traccia dell’esistenza. Queste non sono le figure eteree e idealizzate che spesso popolano la storia dell’arte; sono corpi reali, con la loro pesantezza, la loro imperfezione e la loro palpabile fisicità. Ed è proprio in questa iper-realistica rappresentazione della carne che si insinua un senso di inquietudine.

L’orrore nell’opera di Saville non è quello del jump scare o del mostro in agguato. È un orrore più sottile, più viscerale, che risuona con la nostra consapevolezza della fragilità e della mortalità del corpo. Vedere la carne esposta in tutta la sua “non-bellezza” ci confronta con aspetti di noi stessi che spesso preferiremmo ignorare o idealizzare. Le sue figure, spesso ritratte in pose scomode o auto-osservative, sembrano quasi intrappolate nella loro fisicità, un peso tangibile che lo spettatore non può fare a meno di percepire.

C’è anche un elemento di sovversione che contribuisce a questo senso di disagio. Saville sfida apertamente i canoni di bellezza imposti dalla società e dai media. I corpi che dipinge sono lontani dagli ideali di magrezza e perfezione; sono corpi che occupano spazio, che portano i segni del tempo e dell’esperienza. Questa ribellione contro le norme estetiche può essere percepita come una forma di “orrore” per chi si aggrappa a tali ideali, costringendo a confrontarsi con una visione del corpo più autentica e meno filtrata.

Inoltre, l’intimità che Saville riesce a creare con i suoi soggetti, nonostante la loro monumentalità e la loro crudezza, può generare un senso di disagio nello spettatore. Ci troviamo di fronte a corpi vulnerabili, spesso in momenti di auto-esame o di abbandono, e questa vicinanza forzata con la loro fisicità imperfetta può risultare perturbante. È come se fossimo costretti a confrontarci con la nostra stessa vulnerabilità attraverso lo sguardo intenso e senza filtri che Saville posa sui suoi soggetti.

L’assenza di idealizzazione e la presenza marcata della carne nelle opere di Jenny Saville non sono quindi semplici scelte stilistiche. Sono un potente strumento per esplorare la complessità del corpo umano, la sua fragilità e la sua capacità di generare sia fascino che repulsione. In questo senso, la sua arte, pur non rientrando nel genere horror tradizionale, possiede un’inquietante risonanza che tocca corde profonde nella nostra psiche, confrontandoci con la materialità della nostra esistenza in un modo che può essere profondamente disturbante e, per questo, straordinariamente potente.


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