Titolo Originale: LONGLEGS
Anno: 2024
Regista: Osgood Perkins
Sceneggiatura: Osgood Perkins
Genere: orrore
Cast: Maika Monroe, Nicolas Cage, Blair Underwood, Alicia Witt
Dove le ambientazioni fanno il film, dove le atmosfere cupe affiorano i nostri incubi,
facendoci sentire soli ed impotenti verso chi non conosciamo o forse anche verso chi
conosciamo.
Alla sua quarta opera il regista Oz Perkins, ormai sciolto dal nome d’arte nel suo
vero nome Osgood, realizza un’opera stratificata, abbracciando i generi horror,
thriller e poliziesco mescolandoli e rendendoli suoi. Il figlio d’arte nato dal serial killer
più famoso al mondo Norman Bates (Anthony Perkins), ci trasposta in delle
ambientazioni sataniche, prive di vita quasi, con quei pochi personaggi e di
conseguenza i pochi dialoghi che rendono la pellicola inquietante e angosciosa. Si
inizia con un prologo negli anni 70 in cui un uomo vestito e dal viso pallido si
avvicina ad una bambina vestita di rosso, sembra già una favola
nera. Salto temporale, anni 90, l’agente dell’FBI Lee Harker alle prese con uno
spietato serial killer che uccide le famiglie o che comunque ne sia coinvolto perché
pare non ci siano collegamenti diretti che sia stato lui, dei misteri irrisolti in cui le sole
cose che si hanno sono i codici che lui lascia nelle mani della polizia per decifrarli,
ma la nostra protagonista che pare abbia un collegamento col nostro serial killer,
una sorta di luccicanza richiamano Shining.
Preceduto da una campagna marketing molto azzeccata che ha fatto sì da far fare
degli ottimi incassi in Usa, dai teaser, ai primi poster, fino al numero di telefono da
chiamare e con voce registrata, Longlegs è diventato già cult e con lui la sua icona,
lo stesso serial killer che da il titolo al film, la sua firma e il suo marchio di fabbrica,
ad interpretarlo un Nicolas Cage in stato di grazia, che in tali teaser o trailer ufficiali
noi non vediamo mai, che dona a questo personaggio un simil Buffalo Bill dei nostri
tempi o il fabbricante di bambole nel film di Pascal Laugier, mi fermo qui. Ad
accompagnarlo una bravissima Maika Monroe ormai sul trampolino di lancio nel
genere che assieme a Mia Goth e la sua Maxine e Lauren LaVera in Terrifier è
diventata la final girl del momento, nel film è sola, senza compagno o marito, né figli,
vive in una casa tappezzata di legno, grande ma spoglia, l’unico rapporto familiare
che ha è quello con la madre devota.
Una scelta di regia molto interessante da parte di Perkins, che inizia con un 4:3
curvato negli angoli, segno di una macchina fotografica, polaroid in tal caso, per poi
allargare lo schermo nella continuazione del film e rimettere il 4:3 successivamente
nelle scene di flashback, segno di una chiusura, una chiusura tale da parte degli
anni 70 dove Perkins mette sul piatto serial killer e satanismo, due temi scottanti
soprattutto in quegli anni, così come la disgregazione della famiglia americana, qui
divisa e praticamente inesistente, e se c’è viene calata in un inferno senza via
d’uscita, un inferno bianco e senza sangue come il nostro serial killer, un nuovo bau
bau dove il CU CU assumerà tutto un altro significato.
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