Wolf Creek
di Greg McLean (2005)
Tre amici decidono di esplorare l’isolato cratere di Wolf Creek, nel deserto australiano. La loro macchina ha un guasto e vengono soccorsi da Mick Taylor.
Citazione.
“Ogni anno in Australia scompaiono 30 mila persone. Alcune vengono ritrovate nel giro di un mese. Altre nel giro di un anno. Altre ancora non vengono più ritrovate. Ma come si fa a ritrovare qualcuno quando nessuno sa che è scomparso?”
(Incipit del film)
L’outback australiano.
Immaginate di trovarvi nell’Australia occidentale, insieme a due amici, dentro all’anima selvaggia del paese. Un ambiente aspro vi circonda, con paesaggi che variano da deserti aridi a savane erbose, fino a foreste di eucalipti. Avete appena visitato il famoso cratere di Wolf Creek, un enorme buco che si é formato a causa della caduta di un meteorite. Lo spettacolo vi appare affascinante e maestoso, quasi romantico, una terra inospitale ma affascinante. Ma poi, al ritorno dall’escursione, la vostra auto non riparte e vi ritrovate fermi e bloccati, in mezzo al nulla. Le ore passano e l’ansia cresce, perché siete distanti da tutto e il clima comincia a diventare impietoso.
Per fortuna, quando siete ormai disperati, due fari appaiono all’orizzonte e una jeep si avvicina.
Al volante del veicolo c’è un abitante della zona che si offre di trainare la vostra macchina e aiutarvi.
Dice di chiamarsi Mick Taylor.
Considerazioni.
Greg McLean firma il suo primo lungometraggio, un vero e proprio incubo on the road, uno degli horror più interessanti degli ultimi anni.
Wolf Creek si ispira a fatti reali, storie di cronaca che riguardano diversi casi di omicidi e sparizioni nel deserto australiano. Vicende associate ai nomi di due criminali, Ivan Milat e Bradley John Murdoch.
Il film stupisce e incanta dal punto di vista della fotografia (curata da Will Gibson). I paesaggi australiani vengono mostrati con l’utilizzo di campi lunghi, per descriverne ed esaltarne la vastità. Ed é davvero affascinante lasciarsi immergere dentro a quel tipo di scenario, nella prima parte della pellicola. Una sorta di preparazione elegante e raffinata, che anticipa il massacro che si scatenerà più avanti.
Non c’è dubbio sul fatto che una delle cose più interessanti di Wolf Creek sia la figura del villan. Mick Taylor si presenta sulla scena come un uomo corpulento e amichevole dal marcato accento australiano, ma poi si rivela essere un pericolo psicopatico. Una specie di miscuglio, perfettamente riuscito, tra il classico uomo nero e il “bifolco” locale dalle tendenze omicide. Un Crocodile Dundee che se ne va in giro a cacciare i turisti che hanno la sfortuna di incrociare il suo cammino.
Inutile dire che, un plauso particolare, va all’attore che interpreta la parte, lo stratosferico John Jarratt.
Wolf Creek è noto per il suo stile realistico e crudo, con un’attenzione particolare ai dettagli che amplificano la tensione e l’orrore. È stato criticato per la sua brutalità e per il modo in cui ha sfruttato storie di cronaca nera. Qualche spettatore e critico ha ritenuto che il film potesse essere troppo disturbante per alcuni, soprattutto per il suo legame con eventi reali. Impossibile, a tal proposito, non citare la scena “head on a stick!”
Conclusioni.
Wolf Creek è considerato uno dei film horror più influenti provenienti dall’Australia, e il personaggio di Mick Taylor è diventato una sorta di icona del cinema di genere.
Il film ha avuto un impatto significativo non solo in Australia, ma anche a livello internazionale, contribuendo a una rinascita del genere horror australiano. È stato un successo al botteghino e ha generato un sequel, “Wolf Creek 2” (2013), e una serie televisiva.
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