Una studentessa del college, Samantha Hughes, accetta uno strano lavoro da bambinaia che coincide con una misteriosa eclissi lunare. Lentamente realizza che i suoi clienti nascondono un terribile segreto…
Circa tredici anni fa io e un mio collega ci mettemmo in testa che Ti West sarebbe diventato un nome. Reduci dalla visione di “The Innkeepers” sapevamo che quel ragazzo, che aveva dato prove zoppicanti di sé (The Roost, Cabin Fever 2), possedeva il guizzo e lo spirito giusto. Vuoi per i suoi omaggi inseriti con affetto nei suoi lavori, vuoi per la capacità non scontata di saper muovere la camera e tagliare le inquadrature con una certa raffinatezza, Timon West sarebbe divenuto noto al grande pubblico e così fu. La trilogia di incubi tutti americani di “X” , creata dal nostro, ha avuto il difficile compito di uscire fulgida e remunerata nel nuovo mondo post-covid, in cui sia le marvelose Madame teladiragno che le Furiose postatomiche, con i loro budget da urlo, sono dovute tornare a casa più povere che mai (mentre scrivo non è ancora arrivato in sala MaXXXine ma sembra ovvio che il film sia destinato a superare “Pearl” se non proprio “X – a sexy horror story”).
Era però rimasto fuori dal mercato nostrano questo “The house of the devil” e per fortuna Midnight Factory è accorsa in aiuto di noi poveri amanti traditi dall’industria (sempre più povera di copie fisiche!).
Di questa piccola e vana meraviglia ne avevo letto pareri contrastanti; ma i fan dei film horror stanno perdendo il tocco, per loro deve essere tutto sangue patinato (se sono anziani rincoglioniti) o tutto jumpscare (se sono giovani diseducati). Digitale e non analogico, scuola ultimo Wan insomma. Ma questa, per fortuna, non è la direzione di West, che evidentemente ha amato a livello fandomico, la gloria del cinema horror anni 70/80. Ebbene si, Ti è l’ultimo della MIA generazione, la Generazione X, quella grazie alla quale avete oggi Lynch, Burton, Cronenberg e Carpenter (per citarne alcuni) ancora in attività e sebbene il film di Timon si presenti travestito da cinema anni 80, il regista statunitense ci riserva delle sorprese inaspettate a cominciare dal cast.
Intanto, curiosamente, c’è quella Greta Gerwig che tanto avevo apprezzato con “Lady Bird” e “Frances Ha” (ma altrettanto detestato con Barbie), e poi una perfetta Jocelin Donahue che molti hanno paragonato alla Curtis/Strode ma che in questo film ricorda molto di più la Jess Bradford interpretata da una fantastica Olivia Hussey in quel capostipite slasher che è l’insuperato “Black Christmas” del 1974.
Ottima, quasi maniacale, è la ricostruzione del periodo: costumi, acconciature, musiche. Girato in pellicola 16 mm, con tecniche in voga nel cinema di quegli anni come lo zoom sui personaggi, i titoli sui fermo immagine o la permanenza dell’ultima inquadratura finale. La polverosità della grana della pellicola è stata ben catturata ed evidentemente ricercata. Questa attenzione ai dettagli, sia visivi che sonori, mostra di certo la dedizione di West nel ricreare un autentico pezzo di cinema d’epoca, rendendo “The House of the Devil” un’esperienza immersiva e nostalgica per gli amanti del genere. La presenza in apertura di Dee Wallace pettinata come se fosse uscita dal set di “Cujo” non fa che rafforzarne la percezione. Questo lavoro è un prodotto “controllato” da un regista con le idee ben chiare ed è evidente che l’esperienza sia servita per l’elaborazione della sua futura trilogia.
La Donahue, si immerge nel ruolo di Samantha Hughes, con una naturalezza che evoca le scream queen dei classici del genere e la trama dell’opera, apparentemente semplice, si sviluppa con una tensione crescente, resa ancora più palpabile dalla scelta di West di evitare l’uso eccessivo di effetti speciali digitali. Infatti, il regista si affida a tecniche di suspense vecchio stile, costruendo un’atmosfera inquietante attraverso l’uso sapiente della cinepresa e del montaggio ed assoldando un vecchio ed inquietante leone come Tom Noonan.
Il film si distingue anche per la sua capacità di bilanciare momenti di calma con esplosioni di terrore. West non si affida a facili spaventi, ma costruisce la paura lentamente, permettendo alla tensione di crescere fino a raggiungere un climax inquietante. Questo approccio è un chiaro segno del rispetto del nostro per i maestri dell’horror ed è evidente che l’ispirazione registica del film arrivi da Hitchcock e da Polanski, in particolare da Psycho (ben evocato quando Noonan sale le scale per parlare con la madre) e Rosemary’s baby
In conclusione, “The House of the Devil” è un tributo raffinato e ben eseguito al cinema horror degli anni ’70 e ’80. Ti West dimostra di essere un regista con una visione chiara e una profonda comprensione del genere, capace di creare un film che non solo rispetta i classici, ma che riesce anche a sorprendere. Questa pellicola ha rappresentato un passo importante nella carriera di Timon ed è un’opera che merita di essere vista e apprezzata da tutti gli appassionati.