The Black Phone
The Black Phone (2021) – L’horror di Scott Derrickson tra prigionia, paura e redenzione
Con The Black Phone, uscito nel 2021, il regista Scott Derrickson (già autore di Sinister e Doctor Strange) firma un horror dal tono cupo e disturbante, capace di mescolare il soprannaturale con l’angoscia più reale: quella della violenza, del trauma e della perdita dell’innocenza.
Trama: il rapitore e il telefono nero
Siamo in un sobborgo americano degli anni ’70. Un killer soprannominato “The Grabber”, interpretato da un inquietante Ethan Hawke, rapisce bambini e li fa sparire senza lasciare traccia. Finney Shaw, un ragazzo timido e introverso, è la sua nuova vittima. Rinchiuso in un seminterrato insonorizzato, Finney scopre un vecchio telefono a muro scollegato… che però inizia a squillare.
All’altro capo, le voci delle precedenti vittime del Grabber cercano di aiutare Finney a sopravvivere, offrendo indizi, consigli e frammenti delle loro storie. Intanto, la sorellina Gwen, dotata di misteriose visioni oniriche, fa di tutto per trovarlo prima che sia troppo tardi.
Un horror che parla di sopravvivenza
The Black Phone non è solo un film dell’orrore. È un racconto di crescita, paura e resistenza. Finney deve affrontare non solo un assassino sadico, ma anche le sue stesse insicurezze e paure, in un percorso che lo trasforma da vittima a sopravvissuto. Il film usa l’elemento soprannaturale — le voci dei morti — come strumento narrativo per raccontare la forza della memoria, della solidarietà e del coraggio.
Ethan Hawke e un volto mascherato del male
Ethan Hawke, qui in un ruolo completamente opposto a quelli a cui ha abituato il pubblico, incarna un villain inquietante e ambiguo. Il suo personaggio indossa una maschera modulare, che cambia espressione a seconda del momento, rendendo ancora più disturbante il suo comportamento imprevedibile. È una figura grottesca, quasi teatrale, che non ha bisogno di spiegazioni: è puro male.
Un’atmosfera anni ’70 tra nostalgia e inquietudine
La ricostruzione del contesto urbano degli anni Settanta è accurata, evocando un tempo in cui la paura dei predatori era reale e tangibile. Derrickson racconta una società in cui i bambini erano spesso lasciati a sé stessi, esposti a pericoli veri, in un mondo che non li ascoltava. Questo contesto rende la prigionia di Finney ancora più drammatica.
Tra il thriller e il paranormale
Basato su un racconto breve di Joe Hill (figlio di Stephen King), il film porta con sé l’impronta narrativa tipica della famiglia: una realtà grigia, attraversata da un elemento sovrannaturale che non ha bisogno di spiegazioni razionali, ma che agisce come specchio delle emozioni dei personaggi.
Conclusione
The Black Phone è un horror intenso e ben costruito, dove la tensione si accumula lentamente ma con precisione chirurgica. Con una regia solida, un cast convincente e un equilibrio tra paura reale e suggestioni paranormali, il film si impone come uno dei titoli più riusciti del cinema horror degli ultimi anni.
Non è solo la storia di un ragazzo in trappola. È una riflessione sulla resilienza, sul valore dell’ascolto — anche oltre la morte — e su come la speranza possa sopravvivere persino nell’oscurità più profonda.
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