cujo

Cujo

Cujo (1983): la paura ha quattro zampe

Nel 1983, il regista Lewis Teague portò sul grande schermo Cujo, adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King pubblicato nel 1981. Il film, diventato un cult dell’horror anni ’80, racconta una storia di terrore quotidiano, in cui il pericolo non ha nulla di soprannaturale: è un enorme cane San Bernardo, trasformato in una furia omicida.

Trama

Cujo è un bonario cane di famiglia che, durante una delle sue scorribande in campagna, viene morso da un pipistrello infetto e contrae la rabbia. Nel frattempo, Donna Trenton (interpretata da Dee Wallace) è una casalinga che affronta una crisi matrimoniale. Un giorno, si reca con il figlioletto Tad da un meccanico isolato per riparare la macchina, ignara che Cujo, ormai fuori controllo, li attende. Quando l’auto si guasta e il cane rabbioso circonda il veicolo, madre e figlio si ritrovano intrappolati, sotto un sole cocente, senza acqua né vie di fuga.

Un horror “realistico”

Diversamente da molte opere tratte da King, Cujo non punta su elementi paranormali o mostruosi. Il terrore deriva da una situazione plausibile: l’incontro con un animale domestico divenuto inarrestabile. Il film sfrutta al massimo la tensione claustrofobica, con gran parte della narrazione ambientata all’interno dell’auto rotta, mentre Donna lotta contro la paura, il caldo estremo e la disperazione crescente.

Produzione e curiosità

La realizzazione di Cujo non fu semplice. Per rappresentare il cane aggressivo furono utilizzati diversi San Bernardo addestrati, ma anche un costume per stuntman e una testa meccanica. Stephen King stesso dichiarò in seguito di non ricordare di aver scritto il romanzo, a causa dei suoi problemi di alcol e droga in quel periodo. Eppure, Cujo resta uno dei suoi racconti più intensi sul terrore e sulla sopravvivenza.

Interessante notare che il finale del film differisce da quello del libro, scegliendo una risoluzione più “positiva” rispetto alla tragica conclusione immaginata da King.

Accoglienza

All’uscita, Cujo ebbe recensioni contrastanti ma negli anni è stato rivalutato come una delle trasposizioni più efficaci di Stephen King. L’interpretazione intensa di Dee Wallace ricevette particolari elogi, così come la capacità del film di mantenere alta la tensione con una trama relativamente semplice.

 

Oggi, Cujo è considerato un classico, una storia che dimostra come la paura possa annidarsi anche nella normalità, trasformando un cane amato in un incubo vivente.


Iscriviti al nostro canale YouTube

Articoli simili

  • Pluto

    Naoki Urasawa, nel suo capolavoro Pluto, prende uno dei racconti più luminosi della tradizione di Osamu Tezuka e lo trasforma in una tragedia moderna, un requiem sull’umanità e le sue macchine. Non è solo un manga di fantascienza: è un’elegia sulla perdita, sulla memoria e sull’impossibilità di redenzione.

  • Ash

    Ash, diretto da Flying Lotus, è un film sci-fi horror che si colloca in quel filone disturbante e surreale che ricorda opere come Under the Skin o Event Horizon. La pellicola racconta la storia di una donna, interpretata da Eiza González, che si risveglia su una remota stazione spaziale, circondata dai cadaveri del suo equipaggio. L’atmosfera è da subito inquietante, e il regista ci immerge in un incubo visivo e sonoro alienante, grazie anche a una colonna sonora sperimentale composta da lui stesso.

  • Aliens – Scontro Finale

    Il “capitano” Ellen Ripley, ibernata per sessant’anni in un sofisticato contenitore del traghetto spaziale Nostromo, e quindi rimasta giovane, è l’unica sopravvissuta alla terribile disavventura che ne ha distrutto l’equipaggio e che ora sconvolge le sue notti con incubi ricorrenti, che si riferiscono alle forme mostruose di vita incontrate sul pianeta Archeron, dove ora vive una colonia di pionieri dello spazio.

  • Cube

    Nel panorama del cinema horror fantascientifico degli anni ’90, Cube emerge come un’opera sorprendentemente originale e disturbante. Diretto dall’esordiente Vincenzo Natali, il film è stato realizzato con un budget ridottissimo e un set essenziale, ma riesce a costruire una tensione claustrofobica e psicologica attraverso una premessa tanto semplice quanto inquietante: un gruppo di sconosciuti si risveglia intrappolato in un labirinto di stanze cubiche, ognuna potenzialmente letale. L’apparente minimalismo estetico è funzionale a un’atmosfera alienante, quasi astratta, dove la paura non proviene da un mostro o da una creatura, ma dalla geometria stessa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *