Educazione Siberiana
di Gabriele Salvatores (2013)
Kolima e Gagarin, amici per la pelle, crescono insieme nel sud della Russia, in una città diventata una specie di ghetto per criminali di varie etnie.
Il nonno Kuzja, capo del clan siberiano, impartisce loro un’educazione molto particolare che si basa sul furto, la rapina e l’uso delle armi.
Tutto questo unito a un codice d’onore che non deve essere mai tradito.
“Ma ricordati, dobbiamo avere rispetto per tutte le creature viventi.
Eccetto che: la polizia, i banchieri, gli usurai.
Rubare a queste persone é permesso.”
(Nonno Kuzja)
L’importanza della tradizione.
Per educazione generalmente si intende l’apprendimento di principi intellettuali e morali, in accordo con le esigenze dell’individuo e della società.
Ma cosa succede quando si cresce in un posto che sembra essere una terra di nessuno, dove lo Stato é completamente assente e ogni comportamento é regolato da un codice etico ben preciso che non ammette distrazioni?
Quanto grande diventa la distanza con il resto del mondo che si affaccia a pochi chilometri di distanza?
Sono questi gli interrogativi più importanti sui quali ruota il film, questo scontro tra una realtà chiusa e conservatrice e la modernità che irrompe, dall’esterno, con tutta la sua carica rivoluzionaria.
Kolyma e Gagarin, sotto la guida del nonno Kuzja, imparano fin da piccoli a usare il coltello, a rapinare e a muoversi in una comunità criminale regolata da leggi proprie.
Un universo parallelo, violento e feroce, pieno di sfumature ma anche di notevoli contrapposizioni: un luogo dove convivono crudeltà e condivisione, aggressività e slanci di incredibile umanità.
A tal proposito, risulta emblematico il modo in cui gli abitanti della comunità trattano chiunque abbia la sventura di convivere con problemi fisici o psichici.
La giovane figlia del nuovo medico, Xenja, afflitta da un lieve ritardo mentale, viene accolta come una principessa e protetta in modo quasi commovente perché considerata, come tutti quelli nella sua condizione, una “voluta da Dio”.
Sarà lei, in ultima analisi, il motivo principale dello scontro finale tra i due protagonisti che, nel corso della loro crescita, hanno maturato posizioni opposte e sono diventati acerrimi nemici.
Considerazioni
Salvatores ha dichiarato pubblicamente il suo amore per questa pellicola, il suo film più difficile e ambizioso, quello di maggior respiro internazionale.
E, in effetti, va riconosciuta al regista una certa dose di coraggio, nell’aver girato un film così complesso con un cast composto quasi esclusivamente, a parte tre notevoli eccezioni, da attori lituani alla loro prima esperienza.
Il risultato non é perfetto ma si é davvero disposti a essere indulgenti nel giudizio di un’opera che mette tanta carne al fuoco senza riuscire, forse anche per limiti di tempo, a dare il giusto peso a tutti gli elementi che presenta.
Per esempio, avrebbe meritato maggior spazio la figura affascinante del tatuatore Ink (Peter Storman) che insegna il mestiere al giovane Kolyma, insistendo sul significato filosofico del proprio lavoro.
Anche gli eventi storici che fanno da contorno alla vicenda narrata sono appena accennati.
A partire dalla Russia liberata dal regime e la conseguente nuova natura della società che si contrappone sempre più al vecchio modo di vivere.
Nonostante queste lacune, più o meno evidenti, quel che ci viene mostrato riesce ad essere intenso e interessante.
Merito anche di uno strepitoso John Malkovich nel ruolo del nonno Kuzja, vero e proprio maestro di vita e forgiatore di nuovi e “onesti” criminali.
Ma va sottolineata anche la sorprendente prova di Eleanor Tomlinson nel ruolo di Xenja, abilissima a restare in equilibrio senza scadere in una rappresentazione troppo caricaturale del suo personaggio.
La confezione poi é davvero eccellente, impeccabile, assolutamente perfetta.
Tratto dal romanzo, parzialmente autobiografico, di Nicolai Lilin.
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