La Donna, la Strega.
A volte capita che da bambini ci si senta “diversi”, che si avverta di affondare le proprie radici in una terra lontana da quella in cui si è nati, di sentire che qualcosa dentro di noi non è libero di esprimersi, questo è quello che succede a Susie Bannion (Dakota Johnson).
Berlino la attrae come una calamita, come la luce richiama una falena notturna.
Si ritrova in un mondo totalmente diverso dal suo, dove religione e lavori domestici erano tutto ciò che si richiedeva a una ragazza dabene.
Qui si balla.
Ma il ballo non è fine a se stesso, è un rito.
Qualcosa che serve per ottenere altro, un legamento, un motivo di aggregazione volto a procurare l’energia necessaria a liberare i più potenti poteri delle streghe.
E Susie è questo.
Susie è LA strega.
Colei che compensa un atto di estrema crudeltà con uno di estrema compassione, colei che trova sicurezza in se stessa solo accettando il suo destino.
L’unica ad aver capito la sua vera natura era sua madre.
Ma cosa può significare per una bambina mennonita sentirsi ripudiare perfino dalla madre che ti ha partorito? Una madre incapace di amarla solo perché diversa, non una vera madre.
E qui, oltre al lato esoterico si aggiunge il dramma psicologico e interiore della protagonista, il cambiamento spaventa sempre, ma Susie ne è attratta. Da sempre.
Per lei non era facile interpretare il ruolo di quella ragazza mennonita di campagna, lei era nata per qualcosa di meglio. E lo sentiva. Lo voleva.
E a quanto pare interpretare questo ruolo carico di aspettative a causa del suo predecessore e ricco di retroscena psicologico/sociali non è stato per niente facile per la bella Dakota Johnson.
Chiudersi al Campo Dei Fiori a Varese pare le abbia arrecato crisi d’identità e attacchi di panico che l’hanno costretta a lunghe sedute dallo psicoterapeuta.
Ma alla fine anche questo fa parte del suo ruolo, un’attrice che con anima e corpo ha interpretato il personaggio che le era stato assegnato anche a costo di strascichi pesanti.
La Donna, la Strega