Non è facile collocare Parasite, il nuovo film del coreano Bong Joon Ho, Palma d’oro al Festival di Cannes, all’interno di una qualunque categoria..
Per qualcuno è una black comedy, per altri una feroce satira sociale o un thriller dell’assurdo.
Per altri è un dramma dalle venature horror, addirittura.
Secondo lo stesso regista sarebbe «una commedia senza clown oppure una tragedia senza cattivi».
In altre parole: «Il racconto dell’umorismo, dell’orrore e della tristezza che emergono quando i poveri cercano di raggiungere lo stesso livello di benessere sociale dei ricchi, ma si scontrano con la dura legge della realtà».
La storia è quella di una famiglia povera di Seoul, che vive in uno squallido e umido appartamento seminterrato.
Il giovane Ki-Woo, falsificando alcuni documenti, diventa professore privato di inglese della figlia dei ricchissimi Park.
I Park vivono in una splendida casa in collina.
Le porte della loro dimora si aprono anche per la sorella e i genitori, assunti rispettivamente come insegnante di educazione artistica, governante e autista, al prezzo però di menzogne e manipolazioni.
Fino a questo punto siamo nel campo della commedia, ridendo dei piccoli, grandi inganni grazie ai quali i più modesti si accomodano tra gli abbienti.
Ma l’odore dei poveri non si cancella e le due classi sociali, ammonisce il regista, non possono convivere.
Un giorno, infatti, approfittando dell’assenza dei padroni di casa, arriva qualcuno alla ricerca di qualcun altro e i sotterranei della casa rivelano un segreto a lungo nascosto.
Questo segreto sarà destinato a innescare una feroce resa dei conti, che rimanda a quella che si svolgeva sul treno in corsa in Snowpiercer, diretto dallo stesso Bong Joon Ho e centrato pure questo sulle diseguaglianze sociali, ma anche a quelle messe in scena da Lanthimos ne Il sacrificio del Cervo Sacro e da Peele in Noi.
Anche se a ispirare il regista coreano è soprattutto il cinema di Alfred Hitchcock, con Psyco in primo piano questa volta.
Il film dimostra le straordinarie capacità narrative del regista, l’abilità nel raccontare le fratture scomposte del nostro tempo.
Uno stile personale e ricco di invenzioni, sempre al servizio di una storia che vi terrà col fiato sospeso per oltre due ore.
«Non amo seguire regole e convenzioni dei film di genere – dice Bong Joon Ho, che aveva in mente questa storia sin dal 2013.
Cerco di affrontare il tema della società polarizzata, piegata al capitalismo, proprio attraverso la rottura dei codici.
Per quanto mi consideri un regista “di genere”, faccio sempre del mio meglio per tradire le aspettative del pubblico».
E aggiunge: «Nella società di oggi esiste ancora un sistema di caste, sebbene sia invisibile agli occhi.
Pensiamo che le gerarchie sociali appartengano al passato solo perché non le vediamo, ma la verità è che ci sono confini che non possono essere superati.
Nel film è impossibile separare i buoni dai cattivi perché i ricchi, ad esempio, sono persone gentili e tutt’altro che avide, come quelle che invece si vedono spesso sullo schermo.
Vorrei insomma che il pubblico potesse identificarsi con ciascuno dei personaggi in scena». E sono già cominciate le trattative per un remake del film in lingua inglese.
Parasite un dramma tra le caste del nostro tempo… Impossibile catalogarlo in un genere specifico. Parasite ne agglomera diversi
Fonte Avvenire
Iscriviti al nostro canale YouTube