Una Docu-Story ideata e scritta da Horror D’Elite
Fatti realmente accaduti, su Richard Trenton Chase, romanzati.
L’articolo pubblicato su Asylum Magazine
1. Il buio. (La Vittima, Il Vampiro)
Questa vita da casalinga non è poi così malaccio, una casa da curare, un marito a cui preparare la cena, la stabilità, la sicurezza…e adesso un figlio..sarò in grado di gestire anche questo? Di tirarlo su come Dio comanda? Di farlo diventare un uomo per bene? Di sicuro ci metterò tutta me stessa…questa nausea mi sta uccidendo, saranno così tutti e nove i mesi che mi separano dallo stringerlo tra le mie braccia? É dura!!
Ok. La tavola è sparecchiata, il pranzo per domani è pronto, la lista della spesa e la ceretta fatte, cosa dimentico?
La spazzatura, ecco.
Mio marito mi brontola quando torna stanco da lavoro e deve pensarci lui, meglio che inizi a raccoglierla…
Questi sacchi pesano una tonnellata, il doc non aveva detto di non sollevare pesi? Vabbè li trascinerò piano piano, senza sforzi.
E adesso cosa diavolo era questo rumore?
Oddio. C’è un uomo nella mia cucina, cosa devo fare?
“Chi sei? Esci da casa mia o chiamo gli sbirri”
L’ansia mi stringe la gola, ha gli occhi vuoti, vitrei, la cattiveria che emana puoi toccarla con le dita..
Che ne sarà di me? Che ne sarà di te, piccolo angelo senza colpe?
“Sei sola in casa ?”
Neanche il tempo di pensare che sento un dolore atroce, non ho la forza di urlare ma solo di sentirmi indifesa, in balia della follia di questo sconosciuto che fa di me quel che vuole..
Mi ha sparato.
Questo dannato essere senza un’anima mi ha sparato.
Il fatto che io attenda un figlio non lo ha neanche vagamente toccato.
È morto dentro.
Il proiettile Ha oltrepassato il palmo della mia mano, si fermerà? Cosa diavolo posso fare? Perché non c’è mai nessuno che mi aiuti?
“Lasciami fare …CAZZO !
Ed ecco, un altro colpo, il mio stomaco, il mio povero bambino, è la fine?
“TI PREGO SONO INCINTA, FERMATI!!”
Le mie parole riecheggiano nella stanza, lui non sembra minimamente sentirle.
“Ti piacerebbe scopare col Demonio in persona ?”
E spara ancora.
Il dolore è sempre più forte, il sangue in gola, la vista si appanna, mi sento tutta informicolita e perdo le forze, insieme alla speranza di poter conoscere mio figlio, che morirà insieme a me quest’oggi…
Che ne sarà di mio marito?
2. La caccia (Lo Sbirro, Il Giornalista).
Il capo mi odia. Sa che non amo la cronaca nera e lui continua ad assegnarmi pezzi su omicidi truculenti omicidi. Questo poi, c’è di mezzo un vampiro. Siamo in America qui, non in Transilvania. La gente, qui, non va in giro a far mostra di canini aguzzi e succhiare sangue. Non mi piace questa storia. Brividi.
Mattoni bigi. Puzza di fumo, di stantio. Salgo una rampa di scale ed apro il portone. Sbirri, sbirri ovunque, in divisa. Mi sale l’ansia. Voglio il detective. Lui sa, lui mi può aiutare col mio pezzo.
“Raccontami di quel caso, come lo chiamate? il vampiro di Sacramento. Parlami di lui, di cosa successe”.
Hai la faccia pulita, ragazzo, troppo per uno che uno che ne ha viste di tutti i colori nella propria carriera.
Era il 23 gennaio del 1978 quando mi chiamarono per indagare su un caso di omicidio. A quell’epoca ero appena diventato detective ed ero stato assegnato in un’unità che si occupava di casi minori, ma mai avrei immaginato quello a cui stavo per assistere.
“Immagino. Nulla ti può prepare a questo genere di cose. La vittima chi era?”
Si chiamava Theresa Wallin e quando giunsi a casa sua scoprii subito qualcosa riconducibile ad un sinistro presagio: un proiettile calibro 22 dentro la casetta della posta e di colpo mi venne in mente un omicidio avvenuto solo un mese prima con lo stesso calibro, ai danni di un uomo, tale Ambrose Griffin, a cui avevano sparato nel giardino di casa mentre aiutava la moglie a portare la spesa in casa.
“Mi ricordo. Un omicidio all’apparenza inspiegabile.”
Un fatto improvviso, all’apparenza senza alcun movente.
Alcuni colleghi raccolsero delle testimonianze legate ad un misterioso individuo bianco, magro e trasandato che era stato visto aggirarsi con fare furtivo tra le abitazioni del vicinato. Si parlò di effrazione, di qualcuno, probabilmente lo stesso individuo, che aveva urinato e defecato dentro una di quelle case.
“Sembra un atto di spregio, qualcosa fatta per puro gusto, senza alcuna progettualità.”
Infatti, quell’indagine era ad un punto morto . Siccome non me ne occupai direttamente, non seppi molto altro. Qui le cose erano diverse. Quando entrai in casa, mi ritrovai in mezzo a rifiuti sparsi, un odore nauseabondo di umido frammisto a quello ferroso del sangue. Seguii una scia rossastra sul pavimento che arrivava fino alla sua camera da letto.
Fu lì che la vidi.
Le avevano sparato tre colpi, di cui uno mortale alla tempia. Una calibro 22, ancora. Aveva il vestito sollevato fino al petto, le gambe divaricate, niente biancheria.
Sembrava fosse stata violentata.
“Risparmiami i dettagli, ti prego, ché già non sto bene!”
Notai un’incisione lungo l’addome. Gli organi interni erano esposti, come se qualcuno avesse rovistato dentro al suo intestino.
“Cristo santo, ti ho detto di non scendere in dettagli e tu…”
Rimasi di ghiaccio, impietrito sul posto.
Mi ci volle un po’ di tempo per accorgermi di due particolari. Un barattolo di yogurt che stava accanto alla vittima, su cui erano impresse delle strane impronte.
Sembrava che qualcuno lo avesse utilizzato per raccogliere e bere un liquido. Ma cosa? Poi la visione più dura. Un feto straziato che fuoriusciva dal ventre della donna. Si chiamava Theresa Wallin. Aveva appena 22 anni ed era incinta di qualche mese.
Come può balenare nella testa di un uomo sano di mente di fare una cosa simile ?
Ero sconvolto. Ti giuro, ero fuori di me, ma riacquistai quasi subito la lucidità necessaria per continuare a fare il mio dovere. Sentivo che non sarebbe finita lì, anzi. La città aveva paura, la stampa ci stava col fiato sul collo.
I tuoi colleghi giornalista erano, almeno in apparenza, smanioso di saperne di più. Andai a parlare con più persone, casa per casa. Niente. Nessuno aveva visto o notato qualcosa di strano.
Tranne uno: una persona che abitava nello stesso vicinato mi disse di aver visto un tipo trasandato, magro e con i capelli lunghi, aggirarsi furtivamente in quei paraggi, attraversare il portico di casa sua e dirigersi verso la casa della Wallin.
Era “lui”, lo stesso uomo che aveva ucciso Ambrose Griffin, me lo sentivo.. Il 27 gennaio 1978 ricevetti la seconda chiamata.
Non erano passati che quattro giorni.
Dopo un sopralluogo preliminare da parte di alcuni agenti, venni informato del fatto che le persone morte erano tre. Giunto sul posto, trovai un’uomo steso a terra in salotto, gli avevano sparato alla testa con un calibro 22. Proseguendo, in una camera da letto trovai una donna con accanto il figlio di 5 anni.
“Una mattanza. Stavolta ci è andato di mezzo pure un bambino piccolo.”
Avevano sparato alla donna e l’avevano mutilata nello stesso modo in cui era stata uccisa Theresa Wallin. Ancora una volta rimasi scioccato, disturbato.
Strinsi i pugni in un impeto di rabbia e frustrazione, tanto da non accorgermi che gli orrori non erano finiti: era lì accanto ma non mi ero accorto della culla.
Era imbrattata di sangue e solo dopo si venne a sapere che in quella casa viveva un bambino di 2 anni. Ma dov’era il corpo? Forse le vittime erano 4 e non 3 come erroneamente era stato detto.
Basta, bisognava fare qualcosa, tracciare un primo profilo.
Le analogie tra gli omicidi erano evidenti: stessa arma, stesso disordine, stesse sevizie e mutilazioni perpetrate ai danni di povere donne. Presi una decisione ed un rischio: forte delle ulteriori testimonianze del vicinato, stilai un profilo scritto e feci fare un identikit. Contavo i minuti e poi le ore, bisognava ritrovare quel bambino.
La stampa ci stava con il fiato sul collo ed il mio amico giornalista ottenne l’identikit senza nascondermi di essere teso ed allo stesso tempo ansioso di poter scoprire qualcosa di più sul mostro, magari intervistarlo, chissà. Io volevo solo fermarlo per sempre.
Fin dal primo giorno dopo il triplice omicidio, le ore mi sembravano interminabili. Ero stremato e terribilmente in ansia per quel piccolo angelo, poi successe qualcosa: una ragazza mi contattò in centrale.
Era ancora spaventata quando mi confidò che il 27 dicembre dell’anno prima, durante la spesa al supermercato, fu fermata da un ragazzo che lei descrisse in modo corrispondente al mio identikit: “trasandato, magro come un cadavere, sporco. C’era di più, lei lo conosceva perché era stato un suo compagno di classe alle superiori.
Non potevo crederci, avevamo un nome: RICHARD TRENTON CHASE. Strana la Vita : a volte pensi di cadere e non rialzarti più, di perderti in un tunnel senza luce e senza uscita ed invece eccola lì la Vita, a ricordarti come tutto torni , come tutto possa cambiare da un momento all’altro. Questo lo realizzai maggiormente quando dopo aver visionato alcuni rapporti informativi dell’ F. B. I, scoprii che quel tipo era già stato arrestato 2 volte, nel 1965 per possesso di droga e l’estate scorsa ad agosto in una spiaggia del Nevada, completamente nudo e ricoperto di sangue.
Non restava che andare a prenderlo a casa sua prima che potesse tornare ad uccidere. “Ora so chi sei, so dove vivi, sto venendo a prenderti maledetto.
La tensione era alle stelle e mentre mi recavo al suo indirizzo, mi dissi che se avessi trovato lì il bambino, avrei ucciso quel lurido bastardo!
So che un poliziotto non dovrebbe né dire né fare certe cose, ma sentivo che c’era qualcosa di ancor più inquietante e sbagliato in quell’uomo.
Eravamo in tre e quando giungemmo al complesso di case dove lui abitava e bussammo alla sua porta, non ci fu risposta.
Notai che l’appartamento accanto era vuoto e suggerii a un mio collega di entrare là dentro e di ascoltare attraverso la parete: si sentivano dei rumori, come se qualcuno stesse cercando qualcosa: “era lui”.
Non avevo nessun tipo di mandato, solo una gran voglia di sfondare la porta e saltargli addosso.
Riflettei un momento e decisi di allontanarmi di qualche metro e aspettare nascosto dietro una macchina mentre gli altri miei colleghi si erano divisi nei pressi dell’abitazione.
Circa mezz’ora dopo uscì fuori, probabilmente convinto che non lo stessimo più cercando.
Appena mi vide scappò ed io mi lanciai su di lui come un gatto su un topo.
Lo raggiunsi quasi subito e lo stesi a terra con un colpo alla testa.
Quando vidi che anche lui era armato, gli puntai la pistola in fronte: stavo per farlo, stavo per ucciderlo.
Poi di colpo pensai al bambino e ricordai di essere un poliziotto. Lui era un assassino a sangue freddo, io no.
Hai sbagliato, sbirro.
Dovevi premere quel grilletto.
Troppi scrupoli, troppa coscienza.
Ma in fondo chi sono io per giudicare? Io mi do la pena di tenere una penna in mano.
Niente di più.
Una volta ammanettato, entrai in casa con la speranza nel cuore di trovare il bambino, ma trovai solo sangue, sangue ovunque, insieme a quelli che dovevano essere resti organici di persone o animali, dentro dei contenitori.
Disordine, sporcizia, orrore su orrore, una storia di abusi fin dall’infanzia e disturbi come la enuresi, la piromania e zoosadismo, era questo il successivo quadro che emerse dalle ulteriori indagini e interrogatori.
Tutto, meno l’ammissione degli omicidi e dirci dove si trovasse il bambino, finché alcuni mesi dopo, il custode di una chiesa non trovo’ il suo povero corpicino straziato dentro una scatola nei pressi della stessa chiesa: era senza testa.
Da allora ho cercato di dimenticare questa terribile storia ma inutilmente.
Ad oggi, mi sento di dire solo questo: con il senno di poi, pensai che anche Chase avesse sofferto da piccolo e che egli stesso fu’ una vittima, ma io non ero medico, uno psichiatra, un prete, o chiunque potesse essergli stato vicino per aiutarlo.
Ero un poliziotto e in lui vedevo solo un mostro da fermare in ogni modo. Volevo ucciderlo ma lo risparmiai consegnandolo alla giustizia e chissà, forse qualcun’altro o qualcos’altro, non sarà clemente con lui come lo sono stato io. Era il 23 gennaio del 1978 quando mi chiamarono per indagare su un caso di omicidio.
Non lo dimenticherò mai.
3. L’abisso (Il Giornalista, il Vampiro).
Io non lo volevo scrivere questo pezzo. Io non ci volevo venire in questo posto, la bocca dell’Inferno, cazzo. Mi hanno costretto, mi hanno bidonato. Odio i maniaci, maledetti svitati sanguinari. Mi danno il voltastomaco, ecco.
Un labirinto quadrato di fronte a me.
Avanzo timoroso sulle orme di una guardia che pare incurante della mia presenza. Brutto coglione, dove sarai nel momento in cui mi salterà al collo? Muri sbiaditi, slavati ambo i lati e sopra.
Odore di cloroformio.
Mi dà la nausea. Sarà l’idea di incontrare questo figlio di puttana. Perché gli devo parlare? Perché lo devo vedere? Odio gli assassini seriali, fottuti bastardi, psicolabili.
Senso di nausea, oppressione. Me ne devo andare da questo posto, cazzo! Calmati, raccogli le idee, sii professionale come sempre, non mollare.
I miei passi riempiono il vuoto.
Il cuore mi si è incastrato fra le tonsille.
Scariche elettriche sui miei avambracci.
Capelli scompigliati, sudici, barba incolta, occhi infossati, spenti, tinta pallida.
Buongiorno signor Chase.
“Signor Chase, mi parli della sua famiglia”.
Ricordo i miei genitori come ogni bambino di allora ricorderebbe i propri.
Una tipica famigliola americana con i tipici problemi.
“Di quali problemi sta parlando? i suoi genitori la maltrattavano?”
Sí, venivo picchiato,ma allora funzionava così: per insegnarti la disciplina si usavano le maniere forti.
Cinghia e Bibbia sono l’ossatura dell’America.
Ero io ad essere diverso.
Mi piacevano i gatti, mi piacevano per i miei giochi.
“Cosa intende per giochi?”
Li prendevo e diventavano i miei giocattoli da smontare.
“Quindi li uccideva. E che cosa provava in quei momenti?”
Mi piaceva quella sensazione di controllo che, dal momento in cui li catturavo, avevo su di loro. Il potere di decidere della loro sorte. Vita o morte ragazzi ! Passando attraverso il dolore.
Delirio di onnipotenza. Figlio di puttana, non sei e non sarai mai nessuno.
Nemmeno alle superiori mi avresti definito uno “spostato”. Avresti potuto vedere la mia faccia sorridente sull’annuario scolastico e pensare: “Guarda che viso da bravo ragazzo questo pettinato studente col cravattino !”
Ripulito e agghindato. Esattamente come ogni laido figlio di puttana. Perché questo sei!
Nessuno avrebbe detto che ci dessi dentro con marijuana e LSD, nonostante fosse pratica comune ai tempi.
“Lei quindi faceva uso di droghe, Signor Chase…”
E mi piaceva la fica ! Oh, sì se mi piaceva !
Ma era il mio uccello a non volerne sapere di “spiccare il volo” ! Me lo sarei strappato !
Assassino e cazzo moscio. Che bel quadro mi si para davanti.
“Signor Chase, mi risparmi certi dettagli. E non usi quei termini con me! Si moderi, per Dio!”
Il mio sangue era il problema, non ne arrivava abbastanza da farlo tirare su.
“Il suo sangue? il suo problema? sta vaneggiando?”
E così ho pensato: ho bisogno di più sangue dentro di me, ho bisogno di prenderlo da altri inutili esseri.
Stavo male continuamente. Delle fottute ossa mi crescevano dietro al collo e sembravano lame nella carne.
“Dalle sue cartelle cliniche non risultano malattie gravi in corso, né malattie pregresse. Che sintomi accusava?”
Poi lo stomaco:sono nato con lo stomaco sottosopra, al contrario. Gonfiore e fitte ogni volta che mangiavo.
Adesso mi ascolti, fottuto bastardo. Qui è solo il mio stomaco ad essere sotto sopra. Mi devo contenere, devo resistere ed arrivare fino in fondo. Professionale e distaccato… non cedere,
Persino il mio respiro era un supplizio, come se avessi delle spugne rinsecchite al posto dei polmoni.
Qualcuno o qualcosa mi deve aver rubato qualcosa dentro quando ero ancora in fasce.
“Nessuno le ha fatto niente, signor Chase, né quando era in fasce né dopo. “
Di nuovo non mi ascolta. A stento percepisce la mia presenza, bastardo psicolabile
Tutti mi hanno sempre ripetuto che queste sofferenze erano nella mia testa, ma non ho mai avuto bisogno di esami clinici per rendere reale il marcio dentro di me e il dolore che mi causava.
Il sangue era la cura, l’unica, semplice cura.
Gatti, volatili e topi erano la fonte che la natura aveva messo a disposizione per alleviare il mio calvario.
Non mi stupirei se ti fossi pure pisciato addosso e avessi dato fuoco alla tua casa..
Dovevo solo allungare le mani e attingervi.
Il problema però era che la gente non capiva il mio dolore e tantomeno il sistema che avevo trovato per darmi sollievo.
Ben presto quindi mi rinchiusero al “Beverly Manor”, l’ospedale psichiatrico. Lì tutti, compresi i pazienti, mi chiamavano “Dracula” e la cosa, invece di infastidirmi, mi galvanizzava.
Ero come fiero di quel nomignolo.
“Che sensazioni provava quando sentiva gli altri che la chiamavano in quel modo?”
Mi piaceva come tutti mi guardassero con soggezione, diffidenza. Apparire ai loro occhi un mostro mi faceva sentire, per la prima volta nella mia vita, un essere speciale ! Lupo in mezzo a pecore !
Durò poco. Qualche pasticca, una pacca sulla spalla e mi rispedirono a casa dai miei genitori che nel frattempo si erano separati.
Rimasi solo…io e mia madre.
“Interessante, mi parli di lei. In che rapporti eravate?”
Ai dottori in ospedale avevo raccontato che non sentivo più i dolori e, di conseguenza, il bisogno di “giocare” con le bestiole. Se l’erano bevuta.
Un pomeriggio mia madre rincasò prima del tempo e mi sorprese seduto per terra, in camera mia, con la testa spappolata di un gatto tra le gambe mentre ero intento a sfregarmi sulla faccia il suo sangue,il mio personale unguento curativo.
Da allora non mi guardò più con gli stessi occhi. L’ostilità che fino ad allora aveva sempre avuto nei miei confronti lasciò il posto alla paura. Cominciò a guardarmi con gli stessi occhi degli inservienti e dei dottori di “Beverly Manor”.
Non potei tollerarlo oltre e mi trasferii da solo in un buco di appartamento di sua proprietà.
Fanculo mamma ! Nemmeno tu hai mai capito quanto soffrissi ! Se almeno mi avessi denunciato ! Almeno avresti fatto un gesto d’amore per me, l’avresti fatto per il mio bene ! Invece te ne stavi lì, per la maggior parte del tempo, a fissarmi di nascosto…con ribrezzo !
Credevi non me ne accorgessi…eh “Mà” ?
Vaneggia. Mi vede, forse, ma non mi percepisce.
In che mondo, in che dimensioni sei?
Forse nemmeno tu avresti potuto fermarmi mamma.
Come non poterono ingabbiarmi gli agenti per gli affari indiani che mi arrestarono a “Pyramid Lake”, la riserva indiana.
Videro il mio pick-up bloccato nella sabbia.
Lo aprirono e trovarono sangue ovunque, fucili e un secchio con dentro un fegato.
Mi videro col binocolo.
Ero nudo, appollaiato su una roccia, coperto di sangue dalla testa ai piedi.
Pensavano avessi ucciso qualcuno mentre io, strafatto, continuavo a ripetergli che il sangue era il mio. Lo analizzarono e scoprirono che era di una maledetta mucca.
Non riesco più a sostenere la conversazione.
Questa conversazione insostenibile.
Voglio fuggire lontano. Non posso. Le gambe sono bloccate
“E poi come andò a finire con gli agenti?”
Mi rilasciarono senza accuse, puro come un cherubino.
Mi meritavo un regalo, visto che l’avevo passata liscia. Così mi comprai un calibro 22.
Decisi che era arrivato il giorno per il mio vero “battesimo di sangue”.
Presi il mio fucile, il mio furgone e me ne andai a scorrazzare in periferia, zona est di Sacramento.
Ancora non avevo in mente chi sarebbe stato il primo. Poco importava, uno qualunque sarebbe andato benissimo.
Ha colpito a caso, senza programmazione, senza un piano. Sei un “animale” strano Chase, oserei direi unico.
Poi passai lentamente davanti ad una bella villetta.
Un tizio di mezza età stava scaricando la spesa dal bagagliaio della sua auto parcheggiata sul vialetto di ingresso.
Si stava avviando con le borse verso la porta di casa, mi giró le spalle e…BAM !
Si accasció su se stesso come un sacco vuoto.
Cazzo che sensazione !
“Me la descriva, signor Chase.
Cosa provava in quel momento? Quali erano le sue sensazioni in quel momento?”
La sua inutile esistenza, l’intera sua vita finiva lì ed ero io in quel preciso istante ad aver deciso che lì sarebbe dovuta concludersi.
Ero diventato un Dio ! Il potere della morte nelle mie mani.
E potevo muovermi, intrufolarmi nelle loro ordinate, profumate casette e fare quel che mi pareva.
Mi disgustava quell’aspetto da casa delle bambole , quella meticolosità nel ripiegare i vestitini del bimbetto nei cassettini.
Quel lettino odoroso di lavanda, senza una piega sulle lenzuola candide, lisciato come una pista da bowling.
Sai che ho fatto ?
“Lo so perfettamente! Ho letto i rapporti, non…”
Ci ho pisciato dentro a quel cassetto, sui morbidi vestitini.
E su quel letto di “Winnie-the-pooh” ci ho cagato sopra…una maestosa, puzzolente montagna di merda umana !
Ora che potevo entrare dove vivevano e fare ogni cosa mi venisse in mente era arrivato il momento di divertirsi sul serio.
“Gesù Cristo, signor Chase…”
Aspettai solo qualche giorno.
Poi, durante uno dei miei giretti, mi portai dietro il mio fucile.
La beccai a buttare l’immondizia. Una bella pecorella. Era sola in casa, perfetto !
Era una futura madre, brutto bastardo, a cui hai spento i sogni.
Siamo entrati insieme in salotto e lì le ho sparato. É morta con una paura fottuta questa tizia ! Ha fatto un sacco di baccano. Così l’ho trascinata in camera da letto, per rimanere indisturbati, e ho cominciato a divertirmi con lei.
Paura. La sento, la respiro. Voglia di fuga frammista a istinto di sopravvivenza.
Rabbia.
Impulsi omicidi.
Vorrei tagliargli la gola.
Calmati.
Respira.
Professionale, come sempre.
Le ho sollevato la sottana fino al petto e le ho tolto le mutande. Poi ho preso un coltello e le ho aperto lo stomaco per traverso.
Era la mia cavia. La mia rana da sezionare.
Dentro di sé aveva tutto un universo inesplorato e io tanta “fame di conoscenza”.
Mettere le mie mani dentro quelle calde viscere, tirar fuori quegli organi mollicci e grondanti sangue ! E quell’odore ! Cazzo, mi stavo arrapando !
“Signor Chase, torno a ripeterle che non ho bisogno di ulteriori dettagli. Ho letto i rapporti della polizia.”
Però avevo bisogno di un “aiutino”.
Così ho preso la prima cosa che ho trovato che fungesse da bicchiere, un barattolo di yogurt vuoto in cucina, e l’ho usato a mò di calice sacrificale.
Sensazione viscida dentro la mia bocca. Salivazione oltre i limiti. Sapore ferroso. Idea di sangue. Sto malissimo.
L’ho scopata da dietro. Ci ho messo un po’ ad infilarlo, ma alla fine me la sono goduta alla grande ! Un orgasmo sconquassante, tanto che poi ho faticato a rialzarmi in piedi.
Qualche giorno più tardi mi venne voglia di fare una visitina ad una di quelle famigliole ridenti che vivono in una di quelle belle villette in “Merrywood Drive”.
Ricordo ancora il tosaerba fuori dal garage, una veranda ricoperta d’edera…ma non saprei ricordare quale fosse la casa.
Ho semplicemente girato la maniglia dell’ingresso e sono entrato.
Un tizio era in piedi all’entrata e, da come era rimasto di sasso, mi sa che l’avevo sorpreso .
Era rimasto con la testa girata verso di me e il busto rivolto verso gli altri tre che erano lì con lui.
Per qualche secondo ha continuato a guardarmi senza dir nulla .
Ho messo fine al suo stupore con una bella fucilata in mezzo alla fronte.
Capirai da te che un cranio che esplode fa un bel casino tutt’intorno , tipo un geyser di sangue e cervella per metri tutt’intorno . I due “mostrini” sono corsi di sopra veloci come leprotti .
Li ho raggiunti in camera da letto.
Il bamboccio più grande era montato sul letto e faceva un baccano d’Inferno, quindi l’ho dovuto far tacere col fucile. BAM ! BAM ! Due colpi uno dietro l’altro, da vicino.
Il più piccolo era sulla traiettoria e uno dei colpi gli ha aperto il cranio in due.
Nel bagno attaccato alla camera, nuda dentro la vasca, c’era una bionda cotonata che strillava come se volesse farsi uscire i polmoni dalla gola. L’ho raggiunta e l’ho finita lì…con un colpo in testa.
Poi l’ho trascinata sul letto per mettermi comodo e fare la festa al suo culo.
Col coltello le avevo inciso dei buchi sul retro del collo e da lì potevo succhiare direttamente dalla fonte il nettare che mi faceva mantenere duro.
Me la sono spassata a lungo. Però non volevo che finisse tutto lì il divertimento.
Cazzo, avevo una donna tra le mani e potevo farne ciò che volevo.
Le ho piantato coltellate ovunque: nell’addome, sulla schiena, persino nell’ano, così, per sfogare tutta la carica che quel pieno di sangue mi aveva dato. Poi le ho aperto la pancia e mi son messo a giocare con le sue viscere.
L’ho quasi svuotata.
Volevo privarla di consistenza, consumarla interamente, prosciugarla della linfa vitale che qualche minuto prima le permetteva di condurre la sua inutile esistenza e magari farle pensare che la sua fosse più degna della mia.
Brutta troia !
Te lo mostro io che ti combina questo pazzo da internare, questo folle cazzo moscio ! Ora “Dracula” mangia il cervello del tuo fottuto bamboccio ! Così sono andato da quel ranocchio steso sul pavimento, la testa aperta in due dalla mia fucilata, e l’ho fatto.
Poi qualcuno ha bussato alla porta, o così mi è parso, così mi sono preso in braccio quel fagotto e me lo sono portato a casa sgattaiolando dalla porta sul retro.
Ho bevuto fino all’ultima goccia del suo sangue e con il suo fegato mi ci sono pure fatto un frullato.
Quando i suoi resti sono diventati inutili li ho scaricati vicini ad una chiesa, in segno di “pietà cristiana”.
La fine dei giochi è coincisa con l’incontro di una vecchia compagna di liceo al centro commerciale.
Avevo ancora addosso delle macchie di sangue.
Me ne sono reso conto solo più tardi.
Quando mi sono avvicinato, lei non mi ha riconosciuto.
Allora le ho chiesto se si ricordava di un nostro compagno morto in un incidente ai tempi della scuola.
Lei mi guarda torva e mi fa : “Chi sei ?”
E io : “Rick Chase”
Avverto distintamente un forte senso di nausea.
Un’onda acida monta dallo stomaco fino alle narici.
Rabbia, tanta, irrefrenabile rabbia.
Frustrazione.
Le sbarre della celle sembrano convergere.
Nodo stretto attorno alla gola.
Non c’è aria in questo posto.
Sento il fetore del sangue.
Eppure qui non ci sono ferite aperte, non ci sono cadaveri.
Sudore gelido lungo la schiena.
Tutto è avvolto da una strana nebbia.
Non vedo più.
Bisogno impellente di luce, di nuovo.
Tanta luce.
E vita.
Di Susie Bannion nei panni della vittima e Cesare Giannoni nei panni del detective.
In collaborazione con Andrea Frosinini e Matteo Marinelli