The Laplace’s Demon
The Laplace’s Demon è un gioiello nascosto del cinema di genere
Fonde horror, fantascienza e filosofia in un’esperienza visiva unica. Diretto da Giordano Giulivi, il film italiano del 2017 si distingue immediatamente per la sua estetica rétro e la cura maniacale dell’immagine. Realizzato con l’uso di rear-projection (una tecnica quasi abbandonata dai tempi d’oro di Hitchcock), crea un’atmosfera sospesa, claustrofobica e profondamente teatrale. Il bianco e nero contribuisce a rafforzare questo senso di alienazione, evocando l’epoca della fantascienza classica, ma rivisitata con una consapevolezza moderna.
La storia segue un gruppo di scienziati e studiosi
Riuniti su un’isola misteriosa per valutare l’invenzione di uno strano dispositivo predittivo, capace di prevedere ogni singola azione umana. Il dispositivo si basa sulla teoria deterministica del filosofo e matematico Pierre-Simon de Laplace, secondo la quale l’universo è una macchina perfetta in cui nulla accade per caso. Se si potessero conoscere tutte le variabili, ogni evento sarebbe prevedibile. Questo concetto, già inquietante in sé, diventa il motore di un thriller intellettuale e paranoico, dove la conoscenza assoluta si trasforma in condanna.
L’atmosfera che il film riesce a costruire
È densa e opprimente, con un uso quasi ossessivo degli interni e delle inquadrature geometriche. La casa in cui si trovano i protagonisti è un labirinto visivo, pieno di scale, porte, schermi e un orologio che scandisce il destino. Ogni elemento è funzionale alla tesi del film: nulla accade per errore. I personaggi sembrano burattini in una partita a scacchi cosmica, e la colonna sonora minimalista accentua questa sensazione di ansia e impotenza. Il ritmo, volutamente misurato, invita lo spettatore a interrogarsi più che a correre dietro alla suspense.
Spoiler:
Il cuore narrativo si rivela quando i protagonisti scoprono che le loro stesse morti sono state previste al secondo da un modello in miniatura della casa, in cui pedine simili a loro cadono quando uno di loro muore. Non solo: i tentativi di cambiare il futuro sembrano solo confermare le previsioni. L’invenzione di un’intelligenza superiore in grado di predire tutto, persino le deviazioni dal piano, suggerisce che il libero arbitrio potrebbe non esistere. L’unico barlume di resistenza viene da chi sceglie di agire contro la logica e l’auto-conservazione, dimostrando che forse una variabile imprevista — come l’atto volontario di sacrificio — può ancora sovvertire l’ordine.
A differenza di molti film sci-fi contemporanei
The Laplace’s Demon non si affida a effetti speciali vistosi né a scene d’azione, ma preferisce la tensione mentale, il dubbio filosofico e la composizione rigorosa del quadro. I dialoghi, mai superflui, sono carichi di significato e spesso aperti all’interpretazione, mentre il montaggio mantiene un controllo serrato su tempo e ritmo. Questo stile può risultare ostico per chi cerca una visione più immediata o spettacolare, ma premia chi ama il cinema cerebrale, capace di lasciare interrogativi anche dopo i titoli di coda.
Nel panorama del cinema italiano
The Laplace’s Demon rappresenta un’eccezione luminosa: un’opera indipendente, girata con budget ridottissimo ma ambizione smisurata. È il raro esempio di come la fantascienza non debba per forza guardare al futuro con lenti digitali, ma possa tornare a esplorare i grandi interrogativi dell’essere umano con uno stile personale, evocativo e profondamente filosofico. Se dovessimo scegliere un’erede spirituale della fantascienza paranoica degli anni ’60, con echi di The Twilight Zone, Cube e persino Primer, questo film sarebbe tra i più degni candidati.
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