Si sta male riguardando Dead Man Walking, ma fa bene.
Quell’ultima mezz’ora in cui le speranze di vivere del condannato a morte Matthew Poncelet si esauriscono del tutto ci logorano.
È costretto a dire addio a sua madre, ai fratelli e alla donna scelta come “consigliere spirituale”, la suora Helen Prejean.
Rimane un pugno nello stomaco fin troppo bene assestato, anche ventiquattro anni dopo.
Il film di Tim Robbins ha il merito di schierarsi, evitando fraintendimenti:
Poncelet è colpevole, insieme a un complice ha ucciso brutalmente una coppia di fidanzati, dopo aver violentato la ragazza.
Ha sbagliato, quello che ha fatto è orribile, non ci sono dubbi su questo.
Quello che interessa a Robbins però è altro: riflettere sulla necessità della pena di morte, contraria a qualsiasi sistema penale democratico.
La finalità della pena dev’essere punitiva? No, retributiva e riabilitativa.
La morte di Poncelet comporterà altro dolore e non riporterà in vita i ragazzi che ha ucciso.
I genitori delle vittime si illudono che giustizia sia stata fatta secondo un’errata interpretazione della Legge del Taglione, in realtà appagano esclusivamente il loro istinto di vendetta.
Non si confrontano con le parole di Gesù, ricordate più volte da Helen: «Ogni persona vale più della sua peggior azione».
Nell’avvicinarsi all’esecuzione, la donna riesce a far emergere qualche granello di umanità da parte dell’omicida, confrontandosi sugli affetti, la fede e sul significato dell’amore.
Poncelet sa di aver sbagliato, vuole essere perdonato, conscio della sua morte certa ha bisogno di un ultimo granello di umanità, ha bisogno di andarsene in pace.
Poncelet
Ciononostante, il tono non è consolatorio e non assolve la figura di Poncelet, ritratto come un nazistello confuso, che non è stato in grado di emanciparsi dall’ambiente di povertà e desolazione in cui è cresciuto.
Dove la pietà umana dello spettatore diventa un sentimento insostenibile è nella preparazione emotiva alla morte.
S’instaura a partire dalla relazione con la donna, e contrasta, con la disumana naturalezza e l’organizzazione meccanica con cui la giustizia americana permette di uccidere, a sua volta.
Dead Man Walking forse è ancor più importante e necessario che bello, è un cinema politico e civile che azzera le sfumature.
Ci sbatte in faccia con forza quanto la sete di vendetta non possa mai placare il dolore.
Si avvale di una delle più dolorose interpretazioni di Sean Penn nella sua carriera (miglior attore a Berlino) e di una Susan Sarandon, vincitrice dell’Oscar per il ruolo, che indossa gli abiti della carità cristiana con passione e ostinazione.
La colonna sonora
Per la colonna sonora, hanno collaborato alcuni tra i più grandi musicisti e poeti americani del Novecento: Eddie Vedder, Bruce Springsteen, Tom Waits, Johnny Cash, Suzanne Vega, Patti Smith.
E si sente: la canzone omonima del Boss nei titoli di coda dà il colpo di grazia definitivo alle nostre resistenze.