Il Gatto a Nove Code

Il Gatto a Nove Code (Dario Argento,1971)

Siamo ah li albori degli anni70 e in quella fase ancora in piena sperimentazione legata alla famosa trilogia detta “Degli animali” ad opera di Dario Argento .

A tal proposito, potete visionare il video da noi dedicato proprio a questa famosa trilogia thriller, visitando il nostro canale YouTube.

Tornando al film, possiamo notare subito un buonissimo cast, formato da (James Franciscus , Karl Malden , Catherine Spaak). Notoriamente il meno apprezzato dai fans della trilogia, si possono riconoscere in questo film, intuizioni registiche, stilistiche e fotografiche degne di nota.

A livello registico, è interessante come Dario Argento applichi l’utilizzo della tecnica della soggettiva per mostrarci come se noi vedessimo con gli occhi dell’assassino mentre compie gli efferati omicidi.

Ed è così che abbiamo un primissimo piano della pupilla e dell’iride e la soggettiva delle azioni compiute dal misterioso assassino, realizzate con macchina a mano per far entrare lo spettatore nella maniera più verosimile in queste dinamiche.

E poi, tra le altre cose vi è una delle sequenze più suggestive e meglio realizzare di tutta la filmografia di Argento:
l’iconica scena del cimitero di notte tra il giornalista e l’enigmista cieco.

Sinossi

Dopo la strana morte per un incidente ferroviario del professore genetista Calabresi, rivelatasi in realtà un omicidio, il giornalista Carlo Giordani e l’anziano ex-reporter cieco Franco Arnò, ora nonno ed enigmista, indagano parallelamente alla polizia sull’accaduto.

L’omicidio sembra essere legato a una misteriosa violazione senza conseguenze dell’istituto in cui l’uomo lavorava.

Dopo l’uccisione del fotografo che aveva casualmente scattato un’immagine delle mani che hanno spinto il ricercatore sotto un treno, i due si convincono che la rosa delle nove possibili piste da seguire (un “gatto a nove code”) per risolvere il caso sia da ricercarsi all’interno dell’istituto di scienze.

Qui Carlo, fa’ la conoscenza di Anna, figlia del direttore dell’istituto. Tutto convergerà in una scia di morte verso gli studi antropologico-criminali condotti nella struttura sul lombrosiano cromosoma XYY, fino all’identificazione (e annientamento) dell’insospettabile killer.

Alcune curiosità

Nella scena in cui, dopo l’omicidio, la macchina da presa simula l’uscita dell’assassino dallo studio e dal palazzo del fotografo Richetto nel centro di Torino, un passante dagli occhi chiari sembra guardare verso l’obiettivo: si tratta di Carlo Leva, scenografo e costumista del film.

Il nome del cieco Arnò è stato ispirato da uno strano personaggio, un veggente di Torino, che aveva fatto varie previsioni su alcuni film e sulla carriera di Argento poi risultate confermate.Fonte: Le porte sul buio.Dossier di Nocturno.

Stranissimo notare come in questo film non si vedano mai durante gli omicidi le mani dell’assassino, pallino di Dario Argento: i lacci al collo delle vittime fendono l’aria senza che si vedano le mani di chi è a usarli e l’assassino cerca oggetti in casa delle vittime senza mai essere inquadrato (sulle mani).

Anche in Quattro Mosche di Velluto Grigio sarà così (tranne che per una sequenza, ossia quando viene strappata la camicia a Marielle, dove si vede che il killer ha i guanti di lattice).

Il film prevedeva in origine una conclusione differente: dopo la morte dell’assassino, un’ultima scena mostrava il protagonista (l’attore statunitense James Franciscus) a letto, medicato con delle fasciature per le ferite riportate nella colluttazione con l’omicida; accanto a lui Catherine Spaak. Insieme si riconciliavano…


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