L’odore della notte
di Claudio Caligari (1998)
Una banda di rapinatori dell’estrema periferia romana guidata da un giovane poliziotto dalla doppia vita.
Citazione.
“Quando l’azione finiva e la paura passava, ero sempre in una specie di sicurezza eccitata. Si tornava a casa e mi sentivo bene: lucido e invulnerabile. Ogni volta perdevo un po’ di sangue o mi ritrovavo addosso il sangue delle vittime. Non stavo a guardare, avevo paura e volevo i loro soldi. Uomini o donne, erano tutti uguali: gente da farsi. E tutti noi pensavamo che loro avevano avuto un destino migliore, anche se questo non lo dicevamo mai.”
(Remo Guerra)
Qualcosa per me.
Siamo alla fine degli anni 70. Un decennio passato all’insegna della crisi economica, della lotta armata e del terrorismo, delle rivolte di piazza.
Un’epoca buia, nera e disperata. Un periodo di forti divisioni e contrasti, di coscienza di classe.
Gli anni violenti del “noi contro loro”.
Una violenza che ha un codice preciso e si alimenta nelle borgate, dove vive Remo Guerra, per poi esplodere, durante la notte, nei quartieri alti.
E proprio quando il sole tramonta e l’oscurità incombe che la rabbia diventa incontenibile.
Remo e la sua banda si aggirano in cerca di signore impellicciate e ricci borghesi con il Rolex ai polsi.
E rubano tutto quello che riescono a rubare.
Strappano collane, orologi preziosi, rubano contanti, entrano nelle case di quelli che sono più fortunati di loro.
Non sono realmente spinti dalla voglia di possedere qualcosa. Il loro é più uno sfogo che li porta a pestare a sangue il malcapitato di turno.
La richiesta, prima dell’aggressione, é sempre la stessa: “qualcosa per me?”
L’illusione resta quella di potersi prendere una rivincita su un destino infame che li ha condannati a restare ai margini, come dei ribelli senza causa e senza speranza.
Considerazioni.
Claudio Caligari arriva alla sua seconda regia, a quindici anni di distanza dal primo, meraviglioso “amore tossico”.
L’odore della notte mantiene e migliora uno stile e un modo di fare cinema estremamente personale. Una narrazione che procede senza filtri e senza freni di alcun tipo. Non cerca di addomesticare la realtà che descrive ma, al contrario, ne coglie tutta la durezza e l’estrema disperazione.
C’è dentro la rabbia “vuota a perdere” di una generazione di disagiati che non riesce mai a vedere la luce in fondo al tunnel. E quell’odore a cui fa riferimento il titolo, lo si respira bene in ogni frame, anche nelle scene girate alla luce del sole.
È un odore che entra prepotentemente nelle narici e non ti lascia per tutta la durata del film.
Valerio Mastandrea, nel ruolo del protagonista principale, é semplicemente perfetto. Possiede la giusta fisicità ed é molto bravo a mantenere il corretto equilibrio nella recitazione, senza eccedere in qualcosa di caricaturale. Soprattutto, non cade nell’errore di scimmiottare altri colleghi americani più famosi. Da vita a un personaggio estremamente affascinante proprio perché imperfetto, un capo di una banda criminale, suo malgrado, allucinato e perso. Un protagonista che “si ammala dei suoi stessi pensieri” e “rimane aggredito dalla sua stessa immagine, ogni volta che si specchia”.
Ma anche il resto del cast é su altissimi livelli, compreso un ancora non troppo conosciuto Marco Giallini. Memorabile e esilarante la scena in cui, durante una rapina, costringe Little Tony (che interpreta se stesso) a cantare un suo successo sotto la minaccia di una pistola.
L’odore della notte é liberamente ispirato a “Le notti di arancia meccanica” di Dino Sacchettoni e resta, a distanza di anni, un film imprescindibile all’interno del genere che rappresenta.
Un noir davvero “nero e disperato”, ultra violento, che non ha paura di prendere a schiaffi e calci in faccia lo spettatore.
Un gioiello assolutamente da recuperare.
Unico e raro.
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