Pusher – L’inizio
di Nicolas Winding Refn (1996)
Uno spacciatore di Copenaghen contrae un grosso debito con un potente boss locale.
Si vedrà quindi costretto a ricercare molti soldi in una vera e propria lotta contro il tempo.
La dura vita di un piccolo spacciatore.
Frank si muove nel suo piccolo mondo cercando di mantenere una parvenza di normalità, un attaccamento a quelle che sono le convenzioni sociali.
Lo vediamo in un ristorante o in un locale di spogliarelliste convinto di poter godere di quelli che sono i piaceri della vita.
Ora in compagnia del suo compare Tonny che parla sporco di sesso tutto il tempo, ora impegnato in una strana e bizzarra relazione con Vicki, donna per la quale prova un sincero affetto e grazie alla quale vorrebbe ritrovare la parte perduta di sé.
Ma non esiste la normalità nella sua vita.
Esiste solo l’illusione, una speranza destinata a morire, ogni volta nello stesso modo.
Perché, prima di tutto, é sempre alle prese con l’affanno della droga da smerciare.
Un problema pressante e onnipresente, da risolvere in fretta.
Ad ogni costo.
Soprattutto ora che Milo e il suo feroce braccio destro Radovan sono sulle sue tracce e vogliono indietro il loro denaro.
Tanti soldi, troppi soldi.
E pochissimo tempo a disposizione per recuperare la somma.
Refn parte con l’idea di realizzare un cortometraggio di dieci minuti e poi viene convinto dal produttore a dilatare i tempi.
Caccia via dal set il primo attore scelto per interpretare la parte del protagonista perché giudicato troppo morbido e chiama Bodnia che si cala perfettamente nella parte.
Realizza un film “sporco”, violento nelle immagini e nel linguaggio, assolutamente fuori dal tempo, vicino a un modo di fare cinema che abbiamo ammirato e amato negli anni ‘70 e ‘80.
Viene in mente lo Scorsese di “Mean Streets” ma anche il Friedkin di “Vivere e morire a Los Angeles”, per alcuni aspetti.
O ancora, per citare qualcosa di più vicino ai
noi, “Il cattivo Tenente” di Ferrara.
D’altronde, Refn non ha mai negato di essere un cinefilo appassionato e onnivoro, al pari di Tarantino, e di essersi formato visionando le pellicole del passato senza passare per le “tradizionali” scuole di cinema.
E allora ecco che la telecamera segue come un’ombra le giornate del protagonista, un’anima perduta e inquieta che cammina per le strade più pericolose di Copenaghen e incrocia personaggi infidi e minacciosi.
A tratti, soprattutto nelle riprese esterne, a noi spettatori sembra persino di essere fisicamente all’interno della scena tanto é immersivo il modo di fare cinema di questo regista.
Grazie anche all’uso della camera in spalla e delle luci naturalistiche, si ha come l’impressione di cogliere i sapori, gli odori e di sentire, in generale, tutta la pesantezza e la tensione presente nelle strade in cui si svolge la vicenda.
Una vicenda scandita da sette capitoli che seguono i giorni della settima, dal lunedì alla domenica.
Refn ha deciso di girare in ordine cronologico per permettere ai protagonisti di immedesimarsi ancora di più nel ruolo da interpretare.
Questo suo esordio, realizzato con un budget molto ridotto, é diventato un piccolo grande film di culto tanto da permettere la realizzazione di due seguiti.