Legend

Legend
di Brian Helgeland (2016)

I gemelli Kray e la storia del loro vasto impero criminale, nella Londra degli anni ‘60, tra gelosie, lotte interne e esplosioni di violenza incontrollata.

“Gli aristocratici e i criminali hanno molto in comune: sono egoisti, si annoiano facilmente e hanno accesso a palate di soldi che non hanno dovuto guadagnarsi lavorando onestamente.

La ciliegina? Nessuno di loro ha interesse per le regole borghesi e la moralità. Unite il tutto intorno a un tavolo di roulette. Un’incredibile ricetta per il successo.”
(Frances Shea)

Tom Hardy, prima di tutto e soprattutto.

Ci sono dei film che fanno fatica a mostrare tutta la loro potenzialità, perché qualcosa attira l’attenzione e si prende la scena, prepotentemente, relegando tutto il resto al ruolo di semplice comparsa.

Quel qualcosa, in questo caso, si chiama Tom Hardy, che interpreta due personaggi.
E li interpreta in modo sublime.

Da una parte abbiamo Reggie/Reginald, il gemello pragmatico, sempre elegante, che guarda all’attività di famiglia con la professionalità e la tenacia di un imprenditore.

I suoi scatti d’ira e di violenza sono rari ma significativi e il suo rapporto amore/odio con il gemello, a tratti commovente, é il filo conduttore di tutta la sua esistenza.

E poi c’é Ron/Ronald, la mina vagante. Omosessuale dichiarato, affetto da disturbi mentali diagnosticati e poco incline a seguire una terapia riabilitativa.

Sempre alla ricerca di una rissa o di un motivo per litigare, ama fare il gangster e vive per il conflitto, senza mezze misure.
Calpesta ogni cosa che incontra e trascina tutti quanti nella sua follia distruttiva.

In mezzo ai due, prova a ritagliarsi uno spazio, quella che é la voce narrante della storia:
la bella e fragile Frances, prima fidanzata e poi moglie di Ron.

Ma non é facile la sua posizione: sempre minata dalle gelosie di Ronald che la vede come un ostacolo nel rapporto con il gemello e poco propensa a recitare il ruolo della “pupa” del boss.

Considerazioni.

Helgeland, già sceneggiatore di “L.A.confidential” e “Mystic River”, qui punta decisamente sulla spettacolarità della messa in scena e sulle capacità attoriali degli interpreti.

Confeziona una pellicola dal ritmo serrato e dalla fotografia forse un po’ troppo patinata.
Ma quando la violenza esplode, lo fa con il giusto fragore (come, per esempio, nella scena di regolamento di conti all’interno del bar).

Emily Browing é molto brava a non farsi ingurgitare dalla bravura e dall’esuberanza di Hardy, vero mattatore della pellicola.

Si prende i suoi spazi e si ritaglia un ruolo fondamentale nello sviluppo della storia, con una recitazione efficace e mai sopra le righe.

Un film che si guarda con piacere e che non lascia delusi dopo la visione.
Consigliato.

Clicca quì per vedere il nostro trailer


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